Corriere Fiorentino

Del Monaco jr. e un «Don Carlo» d’oro e sangue

- Valeria Ronzani

La fatica di essere Don Carlo: personaggi­o storico, creatura di Schiller e pure partitura verdiana. Di cui esistono ben sette versioni. Quella che andrà in scena da venerdì 5 all’Opera di Firenze sarà in italiano e in quattro atti. «È la prima volta che eseguo questa versione senza quella in cinque atti», dice Zubin Mehta, che nel 2004, con la ripresa della regia di Visconti, si era lanciato nell’impresa di alternare, replica dopo replica, la versione in quattro a quella in cinque. L’infelice parentesi del 2013, con la cancellazi­one di quella che sarebbe stata l’ultima regia di Luca Ronconi, poteva trovare un riscatto, ma le scene già pronte non si sa dove siano finite, come conferma Conte: «Pare siano a Roma. Ci abbiamo provato, ma ci sono molti problemi». Fra cui, pare, una questione di diritti con gli eredi. Così sì è deciso per la coproduzio­ne provenient­e da Bilbao firmata da Giancarlo Del Monaco. La sua prima a Firenze se si eccettua una Bohème alla Pergola. Lui, figlio del celebre tenore Mario ha rivelato che è stata rispettata l’ambientazi­one storica e che i costumi sono firmati da Jesús Ruiz. «Si rappresent­a il siglo de oro e quell’impero dove, si vantava Filippo II, non tramontava mai il sole. Mica facile, dati i mezzi di oggi», dice Del Monaco. Così ecco una scatola scenica che, attraverso porte, finestre e pareti mobili, si apre sul mondo esterno. «Una fortuna per le voci, i cantanti possono far risaltare ogni sfumatura», gongola Mehta (se l’opera è in 4 atti anziché 5 si deve al tenore Fabio Sartori, poi sostituito nel ruolo del protagonis­ta da Roberto Aronica). In scena un’immensa croce da 500 chili, riproduzio­ne di quell a di Benvenuto Cellini all’Escorial. E alla fine dell’opera, invece che rapito dall’ombra di Carlo V, il buon Carlo finisce ucciso dal padre Filippo II, in barba a ogni velleità di fedeltà. Date le problemati­che, Don Carlo era il soggetto perfetto per il convegno del 5 e 6 maggio all’Opera, «Ma lassù ci vedremo, in un mondo migliore. Il Don Carlo(s) di Giuseppe Verdi» curato da Francesco Ermini Polacci e Giovanni Vitali.

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Il regista Giancarlo Del Monaco

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