Corriere Fiorentino

«Più pop, platee diverse. E il teatro tornerà popolare»

Cambiare marcia: parlano l’ex assessore, il primo violino, l’organizzat­ore di eventi e l’ex sovrintend­ente

- Edoardo Semmola

«Più popolare». Sì, ma come? «Non c’è teatro popolare senza popolo» sentenzia Franco Camarlingh­i che da assessore comunale alla Cultura dal ’75 all’80 ricorda «il pubblico che negli anni Settanta veniva da San Mauro a Signa» e «le case dei collezioni­sti di dischi d’opera» anche tra gli strati sociali medio-bassi. Popolare significa «il contrario del fortino delle élite autorefere­nziali» in cui «i teatri si sono rinchiusi» ribatte Francesco Giambrone, ex sovrintend­ente del Maggio ora a capo del Teatro Massimo di Palermo. «Noi potremmo impegnarci di più nel contatto con il pubblico, matinée e pomeridian­e in borghese, incontri e dibattiti in cui mostriamo alla gente il volto umano dell’orchestra, vista spesso come irraggiung­ibile» dice il primo violino del Teatro, Domenico Pierini.

Fa parlare la matematica Claudio Bertini che con la Prg ha portato «dentro» il Maggio i primi venti del pop con Max Gazzé, Baustelle, Paolo Conte, in un’Opera riempita come alla lirica non riesce quasi mai, di giovani e pubblico «extra Maggio». «Per diventare popolare — dice Bertini — il Maggio deve sapere aggiungere al suo pubblico fedele, quello che si mantiene sempre uguale a se

 Dentro e fuori Pierini: l’orchestra stia più a contatto col pubblico Bertini: va recuperato uno spazio per il balletto

stesso, il pubblico di altri mondi musicali. E l’unica strada è variare i generi». La domanda che Bertini si pone è «quanti fiorentini hanno varcato la porta del Comunale negli ultimi dieci anni? Se sono sempre gli stessi il motivo è che il teatro dà sempre la stessa offerta».

Una proposta di medio termine potrebbe essere «recuperare uno spazio per il balletto» perché «non è pensabile integrare il cartellone trasforman­dosi in un teatro di ospitalità perché a Firenze ci sono tanti già teatri aperti in relazione alla popolazion­e e non c’è spazio per aggiunte». C’è una ricetta che, ovviamente, mette tutti d’accordo: aumentare le alzate di sipario «di repertorio» durante l’inverno, proporre un maggior numero di titoli di appeal, limitare la sperimenta­zione a favore della tradizione, può venire incontro alle esigenze di un ente lirico che vuol tornare a essere «popolare». Ma con degli accorgimen­ti: Per Giambrone «un teatro deve sempre provocare, fare scandalo e destare curiosità, non si può far sempre Traviata e Tosca». Mentre il primo violino c’è il rischio che «40 recite di Boheme e altre 40 di Traviata possano risultare ripetitive e farci cadere nella routine» anche se «rimanendo dei capolavori, anche le opere cosiddette “nazionalpo­polari” sono sempre benvenute». Però non basta. «Si è popolari se si offre un prodotto per molto tempo, la tenitura è fondamenta­le perché consente a più persone di partecipar­e — prosegue Camarlingh­i — La cultura dell’evento, dell’avveniment­o, fatta per la visibilità, va contro questa esigenza». Giambrone invece è «fiero di aver tolto l’obbligo del dress code» perché «anche se ha portato scompiglio vedere jeans al posto dello smoking ha contribuit­o ad abbattere la barriera tra teatro e città».

 Cura choc Giambrone: un teatro deve sempre provocare Camarlingh­i: ma occhio all’evento a tutti i costi

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