«Più pop, platee diverse. E il teatro tornerà popolare»
Cambiare marcia: parlano l’ex assessore, il primo violino, l’organizzatore di eventi e l’ex sovrintendente
«Più popolare». Sì, ma come? «Non c’è teatro popolare senza popolo» sentenzia Franco Camarlinghi che da assessore comunale alla Cultura dal ’75 all’80 ricorda «il pubblico che negli anni Settanta veniva da San Mauro a Signa» e «le case dei collezionisti di dischi d’opera» anche tra gli strati sociali medio-bassi. Popolare significa «il contrario del fortino delle élite autoreferenziali» in cui «i teatri si sono rinchiusi» ribatte Francesco Giambrone, ex sovrintendente del Maggio ora a capo del Teatro Massimo di Palermo. «Noi potremmo impegnarci di più nel contatto con il pubblico, matinée e pomeridiane in borghese, incontri e dibattiti in cui mostriamo alla gente il volto umano dell’orchestra, vista spesso come irraggiungibile» dice il primo violino del Teatro, Domenico Pierini.
Fa parlare la matematica Claudio Bertini che con la Prg ha portato «dentro» il Maggio i primi venti del pop con Max Gazzé, Baustelle, Paolo Conte, in un’Opera riempita come alla lirica non riesce quasi mai, di giovani e pubblico «extra Maggio». «Per diventare popolare — dice Bertini — il Maggio deve sapere aggiungere al suo pubblico fedele, quello che si mantiene sempre uguale a se
Dentro e fuori Pierini: l’orchestra stia più a contatto col pubblico Bertini: va recuperato uno spazio per il balletto
stesso, il pubblico di altri mondi musicali. E l’unica strada è variare i generi». La domanda che Bertini si pone è «quanti fiorentini hanno varcato la porta del Comunale negli ultimi dieci anni? Se sono sempre gli stessi il motivo è che il teatro dà sempre la stessa offerta».
Una proposta di medio termine potrebbe essere «recuperare uno spazio per il balletto» perché «non è pensabile integrare il cartellone trasformandosi in un teatro di ospitalità perché a Firenze ci sono tanti già teatri aperti in relazione alla popolazione e non c’è spazio per aggiunte». C’è una ricetta che, ovviamente, mette tutti d’accordo: aumentare le alzate di sipario «di repertorio» durante l’inverno, proporre un maggior numero di titoli di appeal, limitare la sperimentazione a favore della tradizione, può venire incontro alle esigenze di un ente lirico che vuol tornare a essere «popolare». Ma con degli accorgimenti: Per Giambrone «un teatro deve sempre provocare, fare scandalo e destare curiosità, non si può far sempre Traviata e Tosca». Mentre il primo violino c’è il rischio che «40 recite di Boheme e altre 40 di Traviata possano risultare ripetitive e farci cadere nella routine» anche se «rimanendo dei capolavori, anche le opere cosiddette “nazionalpopolari” sono sempre benvenute». Però non basta. «Si è popolari se si offre un prodotto per molto tempo, la tenitura è fondamentale perché consente a più persone di partecipare — prosegue Camarlinghi — La cultura dell’evento, dell’avvenimento, fatta per la visibilità, va contro questa esigenza». Giambrone invece è «fiero di aver tolto l’obbligo del dress code» perché «anche se ha portato scompiglio vedere jeans al posto dello smoking ha contribuito ad abbattere la barriera tra teatro e città».
Cura choc Giambrone: un teatro deve sempre provocare Camarlinghi: ma occhio all’evento a tutti i costi