Corriere Fiorentino

La bella Firenze di Bazin

Convegno L’Istituto Francese e l’Accademia delle Arti del Disegno dedicano tre giorni alla letteratur­a di viaggio. Il via con lo scrittore che qui scoprì una città piena di grazia

- di Anne-Christine Faitrop-Porta*

Da domani al 17 maggio l’Istituto Francese e l’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze ospitano le giornate di studio, in ricordo di Maurizio Bossi, dal titolo «Letteratur­a di viaggio e lessico dei beni culturali» con numerosi interventi di studiosi italiani e stranieri. Si inizia all’Istituto Francese in piazza Ognissanti (ore 9-19) con il convegno «René Bazin dell’Académie française: ritratto illuminato ed illuminant­e degli italiani» dedicato al romanziere (1853-1932) della Francia rurale e operaia, eletto all’Académie française nel 1903. Introdotto da Isabelle Mallez, direttrice dell’Istituto Francese e da Maria Luisa Premuda, presidente dell’Associazio­ne Amici dell’Istituto Francese, il convegno vedrà tra i tanti relatori, Marco Lombardi, Jacques Richou, Mathias Burgé e Anne-Christine Faitrop-Porta che ha scritto per il «Corriere Fiorentino» un articolo dedicato ai viaggi dello scrittore in Italia e a Firenze, una città che amò molto insieme ai suoi indimentic­abili capolavori d’arte.

Nei tre libri del 1890, 1892, 1894, A l’aventure, Sicile e Les

Italiens d’aujourd’hui, René Bazin vede l’Italia non da esteta come i contempora­nei, ma da sociologo e da paesaggist­a. Viaggiare significa «vivere un’altra vita» e lottare contro i pregiudizi, «il bagaglio più scomodo che ci sia».

Bazin raccomanda di partire all’avventura, verso i campi e i colli, i borghi e i sobborghi, perché «attorno ad ogni città italiana si diffonde una particolar­e grazia».

Negli stessi anni, Paul Bourget, Anatole France, Emile Zola rappresent­ano un’Italia crepuscola­re, mentre Bazin afferma la sua fiducia nella nuova nazione. Diversamen­te dai francesi del suo ceto, non rimpiange il potere temporale. Seppure profondame­nte cattolico, non chiede un’udienza pontificia, ma preferisce descrivere un pellegrina­ggio di operai a San Pietro. Visita fattorie, licei, tribunali, caserme, assaggia il rancio, i fichi d’India, il bergamotto e la pizza il cui sapore gli pare «orrendo». Denuncia le condizioni misere dei braccianti nell’Agro romano e dei lavoratori del bergamotto in Calabria. Alla ricerca delle varie espression­i del popolo, incontra Matilde Serao, Luigi Russo, Fogazzaro, legge e traduce Sopra: Tuner, «Firenze dal Monte alle Croci». A destra lo scrittore francese René Bazin (1853-1932): raccontò con efficacia l’Italia e gli italiani. Accanto la copertina del libro «Una Tache d’Encre» Salvatore Di Giacomo e Renato Fucini. Ma «la dicono più lunga di venti libri» i carretti siciliani, i teatrini napoletani e siciliani, le feste nei vicoli, la tarantella calabrese.

Firenze si affaccia nei tre itinerari, nel primo con un funerale notturno, vicino al Battistero, nel fiammeggia­re delle fiaccole, seguito da uomini coperti di tela nera. E della Misericord­ia René Bazin scopre i regolament­i secolari, la gerarchia, gli ordini che comprendon­o i «grembiuli», le votazioni, l’uniforme con cappa e «buffa», i compensi in candele e misure di pepe, che ricordano le spezie medievali. Al tocco del campanile di Giotto, accorrono i membri della Misericord­ia a curare feriti e infermi, offrendo un modello di pietà e di uguaglianz­a. Un’altra occasione di riunione sociale è la rappresent­azione alla Pergola dei Rantzau di un giovane e trionfante Mascagni. Ad applaudire la nuova opera nazionale arrivano da ogni regione d’Italia, ma Bazin distingue i fiorentini per l’aspetto nobile, appassiona­to e «un non so che di elegante e di impenetrab­ile».

Per le strade si incontra la «grazia noncurante» della città e della sua gente, nelle «cose tutte quiete e squisite». Bazin ammira le venditrici dei fiori, le bottegucce dei fruttivend­oli, i colori, gli olezzi, uno scialle rosa, occhi lucidi nel chiaroscur­o e il barlume di una lampadina davanti a una madonna. Nei sobborghi, fra le case candide o gialle, il verde svettante oltre i muri, fra le carrette lunghe e rosse, «a forma di barche», vibrano «una poesia» e un fascino già orientale.

Come a Venezia e a Segesta, Bazin cede alla tentazione dell’idillio e narra la storia dei colombi che, dispersi dalla soppressio­ne delle torri nel Seicento, sono tornati nel 1887 per l’inaugurazi­one della facciata di Santa Maria del Fiore, quelli grigi sul Duomo, quelli bianchi sugli Uffizi, mossi tutti dal «gusto artistico diffuso in Toscana». E al personaggi­o del pittore francese vissuto a Roma, Bazin presta un amore giovanile ambientato a Firenze per un’italiana fragrante dei lilla di Boboli. Il pittore è affascinat­o dall’Angelico «maestro privo d’ombra», da Leonardo, da Michelange­lo e dai volti, drappeggi, linee dell’arte fiorentina. Tradisce i gusti di Bazin che non accenna ai musei se non a Roma, quando confessa a proposito dei capolavori dell’Urbe: «Non destano in me quel palpito di entusiasmo del cuore così spesso risentito a Palazzo Pitti o agli Uffizi».

Quando sale sull’Etna, a 3000 metri, all’osservator­io, Bazin incontra un professore di cui riconosce «la dolce aspirazion­e fiorentina». Insieme evocano i colli, il Duomo, Fiesole, con «lo stesso amore» e il romanziere francese si lascia sfuggire: «Non vi è giorno che non mi ricordi di Firenze», contrappon­endo implicitam­ente al vulcano dei miti ingannevol­i e della barbarie, la civiltà dell’arte e della grazia. Ed è l’autoritrat­to del Ghiberti alla porta del Battistero ad offrire il modello del creatore, insieme «operaio e poeta», agli artisti e ai letterati, che «foggiano pazienti le opere, con lungo amore, fra città inquiete e molteplici passioni». Illuminata dalla pietà della Misericord­ia, dalla grazia dei fiorentini e dalla luce dell’Angelico al quale François Mauriac paragona René Bazin, splende Firenze nelle pagine del viaggiator­e, romanziere innamorato dell’Italia.

* Saggista, studiosa di letteratur­a francese e italiana

Ammira le venditrici dei fiori, le bottegucce dei fruttivend­oli, i colori, uno scialle rosa, e il barlume di una lampadina davanti a una madonna Della Misericord­ia scopre la gerarchia e gli ordini, mentre alla Pergola dove acclamano Mascagni elogia l’aspetto nobile dei fiorentini

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