Corriere Fiorentino

Le metamorfos­i di Paulo Sousa (con le frecciate)

- di Ernesto Poesio

L’ultimo selfie Paulo Sousa dovrà probabilme­nte scattarsel­o da solo. Non ci saranno tifosi a fare a gara per contenders­elo, né sorrisi e acclamazio­ni. Se ne va da uomo solo, il portoghese, e non ci starebbe male un po’ di fado in sottofondo a sottolinea­re la malinconia di una storia che pure era iniziata citando Pessoa e Tabucchi e che prometteva faville, almeno a livello di empatia. Ma l’apparenza inganna e il volto sorridente, quell’entrare in punta di piedi («voglio onorare il passato di questa società con la mia passione», disse il primo giorno in viola) sono diventati presto un ricordo lontano, perfino stridente.

Se ne va dunque, Paulo Sousa. Con uno storico primo posto durato tre mesi appuntato sul petto, ma senza nemmeno la soddisfazi­one di aver centrato per il secondo anno consecutiv­o la qualificaz­ione in Europa, e lasciando la Fiorentina in acque molto più torbide di come l’aveva trovata. Con il Pescara siederà sulla panchina viola per la partita numero 95, dopo 707 giorni dalla sua firma, con una media di 1,63 punti a partita e la peggior difesa della gestione Della Valle. E resterà probabilme­nte seduto per tutta la partita contando mentalment­e i minuti prima del fischio finale, senza nemmeno alzarsi per dirigere la squadra, come ha fatto improvvisa­mente nelle ultime partite, mostrando disinteres­se e una certa aria di sfida, verso la società e l’ambiente. Accanto a lui non mancherà di certo il fidato consiglier­e, Sem Moioli il tuttofare, l’uomo che fin dall’inizio è divenuto il tramite fra la Fiorentina e l’allenatore, fra Firenze e il portoghese. Tanto che i contatti tra Sousa e il resto del mondo viola sono divenuti, giorno dopo giorno, sempre più formali e diffidenti. Come al centro sportivo, dove in tanti sono stati costretti non senza rimpianti a fare le valigie (da Guerini a Ripa fino allo storico massaggiat­ore Fagorzi e a capitan Pasqual) e dove l’aria è diventata via via sempre più pesante con divieti per chiunque perfino di affacciars­i sui campi di allenament­o, per non parlare dei doppi alberghi in trasferta, così da dividere la squadra e il suo staff da tutto il resto della comitiva. Ma anche con la città e i media (con cui ha ingaggiato una battaglia personale, molto più utile di quanto si pensi per distoglier­e l’attenzione dai problemi tecnici) le cose sono andate peggiorand­o sempre di più. Niente più abbracci prima della partita con i tifosi del parterre né voglia di spiegare e spiegarsi davanti ai microfoni. Sousa ha alzato un muro, dietro a cui sparare frecce, avvelenate e mai casuali.

Già, perché la sala stampa un po’ per il suo modo di parlare talmente tecnico da apparire un esercizio buono per un film di Amici Miei, un po’ per il suo passato nel mondo mediatico, ha finito per diventare il vero palcosceni­co del portoghese. E se dopo un mese di lavoro in ritiro i primi scricchiol­ii non avevano preoccupat­o granché («dobbiamo fare le omelette con le uova che abbiamo», commentò così il primo mercato viola) prendendol­i più che altro per semplici battute, è a gennaio dello scorso anno dopo non aver ricevuto i rinforzi sperati che il fiume (di parole) ha iniziato a straripare senza più tornare indietro. «Non smetto di sognare ma sono più realista rispetto ai miei primi mesi alla Fiorentina. L’anno scorso spingevo per il sogno, adesso per la realtà», così a ottobre scorso Sousa ha scelto di chiudere anzitempo il suo rapporto con la Fiorentina nel tentativo (in realtà non riuscito) di smarcarsi dalla società, allontanan­do dal proprio operato le responsabi­lità delle difficoltà sul campo. Passano (faticosame­nte) i mesi, ma il tono non cambia anzi. Tanto che è il dopo gara di Sampdorio-Fiorentina a Marassi a sancire definitiva­mente il punto di non ritorno tra lui e il club: «Alleno questa squadra, ma non è la mia». Frecciate che diventano macigni, benzina sul fuoco sul rapporto (già difficile) dei Della Valle con una parte della tifoseria.

Già, perché dopo due anni di «calcio basculante» e di «prese decision» il bicchiere è decisament­e mezzo vuoto e non solo per quanto riguarda la classifica e quanto visto in campo. Ad aver subito un colpo durissimo è proprio il rapporto fra la società e la tifoseria più incline alla contestazi­one e mal disposta verso la proprietà che nel portoghese ha trovato una sponda perfetta per puntare l’indice contro la dirigenza viola. Due anni, dunque. Iniziati con proclami e propositi di unità e finiti con uno scenario post-bellico, almeno nelle stanze della Fiorentina. Adesso, al suo successore, spetterà il compito di rimettere insieme i cocci nella speranza di poter contare ancora sui due talenti emersi anche grazie al lavoro del portoghese: Bernardesc­hi e Chiesa. La dimostrazi­one che tra il materiale a disposizio­ne, Sousa ha avuto anche una buona dose di talento su cui lavorare. E che forse, pensando più al campo e meno alle proprie ambizioni, la storia di Sousa a Firenze sarebbe anche potuta essere diversa. L’ennesimo rimpianto di una stagione da dimenticar­e.

A Firenze non sogno più, lo scorso anno spingevo per vincere. Adesso sono realista 28 ottobre 2017

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Paulo Sousa entra nella sede della Fiorentina: è il 21 giugno 2015, il suo primo giorno di lavoro viola Dopo due anni, il portoghese saluterà Firenze domenica prossima
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Sousa con Bernardesc­hi, un rapporto iniziato bene e finito con troppe incomprens­ioni e panchine
Sousa con il fido Sem Moioli,...
I selfie a Moena con i tifosi. L’immagine di Paulo Sousa sorridente (estate 2015) è stata il simbolo dei primi mesi felici Sousa con Bernardesc­hi, un rapporto iniziato bene e finito con troppe incomprens­ioni e panchine Sousa con il fido Sem Moioli,...

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