Corriere Fiorentino

Come si vende il vino toscano in Cina: occasioni e rischi

Le vendite dei nostri vini in Cina sono quasi triplicate negli ultimi quattro anni Ma resta un mercato difficile, in cui le singole denominazi­oni fanno fatica ad affermarsi rispetto al brand regionale. Le strategie di consorzi e aziende

- Di Mauro Bonciani

Amarzo l’export italiano è cresciuto del 14%, quello in Cina del 32%. E uno dei fattori del boom nel grande Paese asiatico è l’aumento delle esportazio­ni agroalimen­tari, settore che vale ormai 10 miliardi e in cui il vino italiano e naturalmen­te quello toscano cerca spazio. In un mercato ancora difficile, consorzi ed aziende stanno investendo in un’ottica pluriennal­e (da una missione in Cina e nel resto dell’Asia sono appena tornati i produttori del Chianti), consapevol­i che il cammino è promettent­e ma anche lungo.

Si parte dal più 35% di export del vino italiano in Cina nel terzo trimestre del 2016, ma anche dal quinto posto tra i Paesi esportator­i di vino con appena il 5% del mercato che vale 2,2 miliardi di euro e che gli addetti ai lavori stimano possa raddoppiar­e sul fronte dei vini rossi. Il 2017 in Cina è l’anno del Gallo e se il Consorzio Chianti Classico punta alla completa tutela del marchio, dal Gallo Nero alle parole Chianti Classico traslitter­ate in ideogrammi, il Consorzio Vino Chianti ha organizzat­o una missione partita il 5 maggio da Singapore (con gli incontri con buyers da Cina, Vietnam, Filippine, Indonesia, Thailandia, Laos) e proseguita con la prima edizione della fiera «Prowine» organizzat­a a Hong Kong e terminata a Seoul. Il tentativo è quello di farsi conoscere, anche attraverso seminari e degustazio­ni miste di Chianti docg Annata, Superiore, Riserva, Vin Santo.

Al tour ha partecipat­o anche l’azienda Bindi Sergardi, di Monteriggi­oni, che produce dal 1349 ed è guidata da Alessandra Casini Bindi Sergardi. «Per il consumator­e cinese il vino è diventato uno status symbol, come le auto o le griffe — spiega dall’Asia dove è ancora in viaggio Giulia Bernini, sales manager della Bindi Sergardi — Ha molta importanza il packaging della bottiglia e sono affascinat­i dalla storia. Si meraviglia­no quando sanno che la famiglia Bindi Sergardi da 23 generazion­i tramanda l’arte della viticultur­a. Resta però molto più conosciuto il brand Toscana che i singoli marchi o le denominazi­oni». I segreti per fare bene sono pochi — «Mantenere una linea coerente, non seguire i trend del mercato e trovare un partner affidabile sul posto» — e su come è cambiato il gusto negli ultimi anni Bernini sottolinea: «Oggi il loro gusto chiede vini strutturat­i e morbidi al palato: questo fa ben sperare per noi produttori di alta qualità di Chianti Classico». «Il nostro obiettivo è raggiunger­e l’equilibrio delle tre macroaree: un terzo in Asia, un terzo in Europa e un terzo in Nord America — spiega Alessandra Casini Bindi Sergardi — Al momento la Cina rappresent­a per noi il 10% del fatturato totale e la sfida più grande rimane la qualità, assieme all’affermazio­ne del brand». Sulle diverse caratteris­tiche dei mercati Giulia Bernini conclude: «In Corea del Sud il mercato è maturo e per molti anni è stata fortissima l’influenza degli Usa. Hong Kong è la porta di ingresso per l’Oriente, con propension­i ai vini di alto livello, anche se rimane comunque un mercato di piccovino le dimensioni. La Cina è un mercato giovane, con forte potenziale di crescita, e come già successo in Giappone ci sarà un avviciname­nto al vino da parte delle donne».

«L’Asia è l’area di maggiore interesse per lo sviluppo del mercato del vino — spiega Giovanni Busi, presidente del Consorzio Vino Chianti — con un incremento esponenzia­le di consumi negli ultimi anni. Il Consorzio sta investendo con sempre maggiore convinzion­e su questo territorio, non possiamo farci trovare impreparat­i». Guarda alla Cina anche il Consorzio del Brunello che ha appena tagliato il traguardo dei 50 anni e che da tempo investe nella formazione di sommelier e profession­isti cinesi del vino, anche con master class a Montalcino e nel loro Paese d’origine. «Quello cinese non è un mercato facile, è volatile, altalenant­e. È complicato muoversi perché magari dopo un paio di anni di lavoro il tuo importator­e cambia e devi ricomincia­re da capo, ma è un mercato strategico — afferma Giacomo Pondini, direttore del Consorzio del Brunello — Oggi l’Asia vale l’8% del nostro export e i margini di crescita ci sono, ma con tempi lungi: per questo abbiamo elaborato una strategia che punta su formazione e comunicazi­one. I consumator­i cinesi fanno fatica ad abbinare vino e territorio, un connubio che esce dai loro canoni tradiziona­li fatti di grandi nomi e grandi marchi che vanno di moda, non da conoscenza delle Doc o Dogc, come si vede anche dagli acquisti on line, ma le cose stanno un po’ cambiando». Per accelerare l’affermazio­ne del Brunello in Consorzio sta preparando per novembre una missione promoziona­le, anche con fondi europei: «Saremo in Cina per seminari, incontri tra nostre e loro aziende, faremo cene di gala con sommelier e clienti vip, tutto accompagna­to da un piano di comunicazi­one — spiega Pondini — È essenziale aumentare la conoscenza delle nostre caratteris­tiche negli operatori per poi arrivare ai consumator­i, strutturan­do di più la domanda, come è già in Corea del Sud».

Bernini (Bindi Sergardi) In Asia ha molta importanza il packaging della bottiglia e sono affascinat­i dalla storia Si meraviglia­no dei nostri 668 anni di produzione Pondini (Consorzio Brunello di Montalcino) È un mercato volatile, altalenant­e. Magari dopo un paio di anni di lavoro il tuo importator­e cambia e devi ripartire da capo

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