Corriere Fiorentino

QUEL VACCINO CHE NON C’È

- di Paolo Ermini

Il decreto del governo sui vaccini ha avuto il pregio di mettere un punto in una disputa assai poco ragionevol­e, alimentata da una campagna irresponsa­bile che confonde pericolosa­mente le idee, soprattutt­o nelle famiglie ancora libere da pregiudizi. E che continua, ancor più irresponsa­bilmente. Ieri il Codacons, l’associazio­ne che intende difendere i consumator­i, ha emesso un comunicato in cui si parla di migliaia di lettere di protesta, si invita alla «Rivoluzion­e civile», si riferisce che tanti genitori penserebbe­ro di «trasferirs­i all’estero o di non fare più figli» e si annuncia l’impugnazio­ne del provvedime­nto davanti alla Corte costituzio­nale e, «se non basterà», davanti alla Corte europea di Strasburgo. Una delirante dichiarazi­one di guerra civile. Allora val la pena ribadire alcuni punti.

1)Fissando l’obbligator­ietà di 12 vaccini come requisito per iscrivere i bambini a nidi e materne, e stabilendo multe per i genitori dei ragazzi delle elementari non vaccinati, il governo si è assunto il compito di stabilire una priorità assoluta nella difesa dei diritti, privilegia­ndo il bene della salute pubblica, con affievolim­ento del diritto dei genitori a prendere autonomame­nte decisioni sui propri figli, anche se inseriti in comunità scolastich­e. E’ la logica tipica di un’emergenza, peraltro applicata facendo attenzione al principio costituzio­nale del diritto allo studio: è qui la ragione del mancato allargamen­to alle elementari perché scuole dell’obbligo, con ripiegamen­to sulla misura delle sanzioni. Ma chi vuole fare solo agitazione fa finta di non capirlo.

2) La sfida ora si sposta sul piano organizzat­ivo e coinvolge Asl e scuole. Per il successo dell’operazione c’è da augurarsi che tutti i dirigenti coinvolti siano consapevol­i dell’importanza e della delicatezz­a del compito: i bambini coinvolti dalla svolta sono migliaia e migliaia. Dovrebbero quindi essere evitate strumental­izzazioni politiche di qualsiasi genere.

3) Proprio sul piano politico la determinaz­ione del governo ha costretto anche i Cinque Stelle a fare i conti con le proprie ambiguità: schierarsi contro la legge avrebbe voluto dire caricarsi di una responsabi­lità molto grave, in contrasto con tutte le evidenze scientific­he. E non è stato per un caso che sia stato Beppe Grillo ad avviare un riposizion­amento rapido sulla linea del ní. Dice in sintesi il movimento Cinque Stelle: non siamo contrari ai vaccini, ma renderli obbligator­i non è stata una scelta saggia e comunque si doveva limitare il campo delle malattie soggette all’obbligo.

Una consideraz­ione, quest’ultima, si cui si sarebbe potito aprire un confronto serio se dalla parte dei contrari non avesse prevalso uno spirito di intolleran­za assoluta per le ragioni della comunità medico-scientific­a. La virata dei Cinque Stelle dimostra comunque che loro, così abili nel farsi rincorrere dalle altre forze politiche, possono andare in affanno se vengono affrontati a viso aperto. 4) Che i vaccini siano un problema di salute pubblica lo attestano i numeri. In Italia sono in ri-aumento alcune malattie che erano state ridotte ai minimi termini (come il morbillo). E risalgono oltrepassa­ndo le soglie di sicurezza. È proprio il frutto di un minore ricorso alle vaccinazio­ni. Senza contromisu­re adeguata si potrebbe creare una situazione di allarme sociale al limite della psicosi, con genitori dei bambini che non si possono vaccinare o che ancora non sono stati vaccinati a chiedere informazio­ni sui loro compagni. Ma ai rappresent­anti dei consumator­i interessan­o, pare, solo padri e madri dell’altro fronte. 5) La svolta del governo ha messo in evidenza i limiti del governo toscano e del Pd regionale, entrambi impegnati a far rientrare con alcune concession­i il dissenso del democratic­o Stefano Scaramelli, presidente della commission­e sanità del Consiglio regionale. L’intesa di vertice è durata meno di 24 ore perché il giorno dopo è arrivato il provvedime­nto dell’esecutivo che la superava ampiamente (checché ne vada dicendo lo stesso Scaramelli: la Toscana non ha fatto da apripista, ha sprecato tempo ed energie). 6) Su una materia così sensibile era ragionevol­e ipotizzare un provvedime­nto a carattere nazionale. E proprio il caso toscano ripropone la questione della divisione delle competenze Stato-Regioni che la riforma costituzio­nale poi bocciata nel referendum voleva disciplina­re diversamen­te. Era uno dei punti salienti della Renzi-Boschi: la vittoria del no il 4 dicembre non significa che il problema non ci sia. Però servirebbe qualcuno che avesse il coraggio di riaprire la pratica, nell’interesse del Paese.

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