QUEL VACCINO CHE NON C’È
Il decreto del governo sui vaccini ha avuto il pregio di mettere un punto in una disputa assai poco ragionevole, alimentata da una campagna irresponsabile che confonde pericolosamente le idee, soprattutto nelle famiglie ancora libere da pregiudizi. E che continua, ancor più irresponsabilmente. Ieri il Codacons, l’associazione che intende difendere i consumatori, ha emesso un comunicato in cui si parla di migliaia di lettere di protesta, si invita alla «Rivoluzione civile», si riferisce che tanti genitori penserebbero di «trasferirsi all’estero o di non fare più figli» e si annuncia l’impugnazione del provvedimento davanti alla Corte costituzionale e, «se non basterà», davanti alla Corte europea di Strasburgo. Una delirante dichiarazione di guerra civile. Allora val la pena ribadire alcuni punti.
1)Fissando l’obbligatorietà di 12 vaccini come requisito per iscrivere i bambini a nidi e materne, e stabilendo multe per i genitori dei ragazzi delle elementari non vaccinati, il governo si è assunto il compito di stabilire una priorità assoluta nella difesa dei diritti, privilegiando il bene della salute pubblica, con affievolimento del diritto dei genitori a prendere autonomamente decisioni sui propri figli, anche se inseriti in comunità scolastiche. E’ la logica tipica di un’emergenza, peraltro applicata facendo attenzione al principio costituzionale del diritto allo studio: è qui la ragione del mancato allargamento alle elementari perché scuole dell’obbligo, con ripiegamento sulla misura delle sanzioni. Ma chi vuole fare solo agitazione fa finta di non capirlo.
2) La sfida ora si sposta sul piano organizzativo e coinvolge Asl e scuole. Per il successo dell’operazione c’è da augurarsi che tutti i dirigenti coinvolti siano consapevoli dell’importanza e della delicatezza del compito: i bambini coinvolti dalla svolta sono migliaia e migliaia. Dovrebbero quindi essere evitate strumentalizzazioni politiche di qualsiasi genere.
3) Proprio sul piano politico la determinazione del governo ha costretto anche i Cinque Stelle a fare i conti con le proprie ambiguità: schierarsi contro la legge avrebbe voluto dire caricarsi di una responsabilità molto grave, in contrasto con tutte le evidenze scientifiche. E non è stato per un caso che sia stato Beppe Grillo ad avviare un riposizionamento rapido sulla linea del ní. Dice in sintesi il movimento Cinque Stelle: non siamo contrari ai vaccini, ma renderli obbligatori non è stata una scelta saggia e comunque si doveva limitare il campo delle malattie soggette all’obbligo.
Una considerazione, quest’ultima, si cui si sarebbe potito aprire un confronto serio se dalla parte dei contrari non avesse prevalso uno spirito di intolleranza assoluta per le ragioni della comunità medico-scientifica. La virata dei Cinque Stelle dimostra comunque che loro, così abili nel farsi rincorrere dalle altre forze politiche, possono andare in affanno se vengono affrontati a viso aperto. 4) Che i vaccini siano un problema di salute pubblica lo attestano i numeri. In Italia sono in ri-aumento alcune malattie che erano state ridotte ai minimi termini (come il morbillo). E risalgono oltrepassando le soglie di sicurezza. È proprio il frutto di un minore ricorso alle vaccinazioni. Senza contromisure adeguata si potrebbe creare una situazione di allarme sociale al limite della psicosi, con genitori dei bambini che non si possono vaccinare o che ancora non sono stati vaccinati a chiedere informazioni sui loro compagni. Ma ai rappresentanti dei consumatori interessano, pare, solo padri e madri dell’altro fronte. 5) La svolta del governo ha messo in evidenza i limiti del governo toscano e del Pd regionale, entrambi impegnati a far rientrare con alcune concessioni il dissenso del democratico Stefano Scaramelli, presidente della commissione sanità del Consiglio regionale. L’intesa di vertice è durata meno di 24 ore perché il giorno dopo è arrivato il provvedimento dell’esecutivo che la superava ampiamente (checché ne vada dicendo lo stesso Scaramelli: la Toscana non ha fatto da apripista, ha sprecato tempo ed energie). 6) Su una materia così sensibile era ragionevole ipotizzare un provvedimento a carattere nazionale. E proprio il caso toscano ripropone la questione della divisione delle competenze Stato-Regioni che la riforma costituzionale poi bocciata nel referendum voleva disciplinare diversamente. Era uno dei punti salienti della Renzi-Boschi: la vittoria del no il 4 dicembre non significa che il problema non ci sia. Però servirebbe qualcuno che avesse il coraggio di riaprire la pratica, nell’interesse del Paese.