Nel futuro, insieme alle piante
Lo scienziato Stefano Mancuso racconta come i vegetali possono cambiare la nostra vita «Ci insegnano anche che un modello non gerarchico è più creativo. E le aziende se ne stanno accorgendo»
L’ultimo libro di Stefano Mancuso è edito da Giunti e si intitola Secondo lo scienziato per migliorare la nostra vita non possiamo fare a meno di ispirarci alle piante: sono organismi evoluti, possono vivere in ambienti estremi, non consumano energia e sono molto più resistenti degli animali
Una pianta colonizzerà Marte. Una pianta curerà i danni cerebrali. Una pianta sconfiggerà il problema della fame nel mondo e dell’approvvigionamento energetico. E sempre una pianta cambierà i nostri rapporti sociali ed economici. Tante piante, un solo «padre»: Stefano Mancuso, docente dell’Università di Firenze e fondatore e direttore del Linv, il Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale al Polo Scientifico Universitario di Sesto Fiorentino. Nel 2013 una delle riviste più prestigiose al mondo, il New Yorker, lo ha inserito nella lista de «gli uomini che cambieranno il mondo». Oggi il Linv, leader mondiale nella disciplina della biomimetica (tradotto: copiare la natura ne nello sviluppo tecnologico), ha aperto una nuova grande sede in Giappone e altre associate a Pechino, Bonn e Parigi.
Ci siamo dimenticati qualcosa, professore?
«Sì, la pianta attore-cantante».
Ride. Ma è anche serio: il suo Plantoide, il primo robot della storia non ispirato all’uomo o al mondo animale ma a quello vegetale, che pensa, si muove e agisce come una pianta, è il protagonista dello spettacolo-concerto dei Deproducers che vedremo il 22 luglio al festival Musart di piazza Santissima Annunziata: sono Vittorio Cosma, Riccardo Sinigallia, l’ex Litfiba e Csi Gianni Maroccolo e Max Casacci dei Subsonica, e lo spettacolo si intitola appunto Botanica. Scritto da Mancuso e con i suoi robot vegetali protagonisti insieme ai musicisti.
Dopo dodici anni di lavoro al Linv e numerosi progetti che hanno innovato tanti diversi campi scientifici, ha deciso di condensare i risultati di tutte le sue ricerche in un libro divulgativo: «Plant Revolution» (Giunti).
«Ho sentito la necessità di mettere un punto fermo perché Stefano Mancuso al lavoro nel Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale al Polo di Sesto (foto: Sestini) Nelle radici si nasconde la capacità delle piante di elaborare segnali e rispondere in maniera intelligente viviamo una fase di grandi cambiamenti: se nel precedente Verde Brillante raccontavo come le piante fossero più complesse e sofisticate di quanto pensassimo, con Plant Revolution racconto le soluzioni che le piante “hanno trovato” per i nostri problemi». Quali? «Il problema energetico per esempio: ispirandoci alla foto- sintesi riusciremo ad approvvigionarci di energia pulita e infinita direttamente dal sole, producendo zuccheri come materiale di scarto. Sarà la fonte di energia sostenibile per eccellenza. Ma anche il problema alimentare perché le piante producono materia vivente nelle condizioni più estreme possibili, possono dare da mangiare a 10 volte l’attuale popolazione terrestre. Per l’esplorazione spaziale siamo già molto avanti. E infine l’organizzazione sociale: le piante ci insegnano che un modello non gerarchico è più creativo e risolve meglio i problemi di quello gerarchico-animale».
Iniziamo per gradi: due anni fa ha costruito il Plantoide. Aveva due scopi: l’esplorazione spaziale e del terreno.
«Il prototipo ha avuto un ottimo successo a livello mondiale: ora stanno utilizzano le sue radici ad accrescimento per costruire un endoscopio capace di entrare nelle circonvoluzioni del cervello senza toccarlo e danneggiarlo. È attualmente usato per attività minerarie, per l’esplorazione dei suoli». Nello spazio c’è andato? «Abbiamo consegnato il nostro progetto all’Esa, l’agenzia spaziale europea: si basa sul modello del seme erodium che cade sul terreno e si auto-seppellisce senza utilizzare energia interna. La nostra sonda usa lo stesso sistema e può arrivare su un pianeta e interrarsi a risparmio energetico, è il primo passo verso la colonizzazione dei pianeti. Vada a farsi un giro alla Nasa e all’Esa e vedrà che se prima in questi enti erano tutti ingegneri e fisici, non c’era nemmeno un botanico o un agronomo, ora stanno cominciando a proliferare queste figure. Grazie al Plantoide».
Per la lotta alla fame nel mondo come avete contribuito?
«Abbiamo costruito il Jellyfish, una serra galleggiante a forma di medusa che compie un vero miracolo: produrre al suo interno ortaggi senza utilizzare la terra. Risolverebbe il problema del consumo del suolo e dell’acqua perché usa quella del mare e solo energia solare. Sviluppandola saremmo in grado di produrre cibo per una popolazione dieci volte superiore a quella attuale. La storia delle risorse insufficienti è una bufala».
Ma allora è proprio vero che il modello vegetale è superiore a quello animale in tutti i campi?
«E finora abbiamo lavorato solo a progetti pratici come robot e sonde spaziali, ora ci siamo accorti che le piante rappresentano un modello diverso anche in termini sociali: senza un cervello centrale ma con un sistema di comando diffuso, non-gerarchico, sono più efficienti e produttive. Ci sono aziende come la Morning Star, multinazionale americana del pomodoro, che già lavora così e funziona benissimo tanto da essere una global leader. Con Carlo Petrini di Slow Food stiamo lavorando per trasformare la sua organizzazione a livello non-gerarchico. È il futuro del mondo aziendale».
Sembra che lei stia tentando di diventare il Marx o il Lenin dei nostri tempi... Vuole passare alla storia per una nuova rivoluzione post-comunista?
«Post. Molto post».
Anche in scena Porterò il mio robot in Santissima Annunziata in uno spettacolo con Sinigallia e Casacci