Corriere Fiorentino

«Ma non dite che può capitare a chiunque»

- di Antonio Montanaro

«È fuorviante parlare di dimentican­za, si dimentica un oggetto non un bambino. Qui invece siamo di fronte all’annullamen­to della realtà umana di un neonato». Lo psichiatra Martino Riggio spiega così la morte in auto della piccola Tamara a Castelfran­co di Sopra.

«La domanda da cui partire è: perché dopo aver lasciato il figliolett­o in macchina queste mamme o questi padri vanno a lavorare, hanno un’ottima memoria lavorativa e sociale, e l’unica lacuna mnestica è proprio il figlio?». Martino Riggio, psichiatra e psicoterap­euta, si è formato alla scuola dell’Analisi collettiva di Massimo Fagioli. Per dare una spiegazion­e all’ennesimo tragico abbandono in auto di un bambino — mercoledì mattina a Castelfran­co di Sopra (Arezzo) e tante altre volte in passato (a Vada, Piacenza, Vicenza) — parte dall’uso delle parole: «Parlare di dimentican­za è fuorviante. Si può dimenticar­e un pacco, un ombrello, una borsa, ma non un neonato. La dimentican­za è rivolta alla realtà materiale, qui ci troviamo di fronte all’annullamen­to della realtà psichica dell’altro».

Allora cosa è successo nella mente della madre della piccola Tamara?

«Il punto è capire cosa è successo prima di quella mattina. Non ho mai visitato la signora e non posso dare risposte certe, ma si deve prendere seriamente in consideraz­ione la possibilit­à di una malattia che, probabilme­nte, non si era manifestat­a fino a quel momento in modo eclatante e vistoso».

Sta parlando della cosiddetta amnesia dissociati­va, già presa in consideraz­ione negli anni scorsi per casi simili?

«No, anche evocare l’amnesia dissociati­va è fuori luogo: sono disturbi che in genere compaiono in concomitan­za di un evento altamente stressante e colpiscono, per esempio, quelle persone che durante o subito dopo un bombardame­nto si trovavano a camminare tra le macerie non ricordando­si più il loro nome e la strada di casa. Se il disturbo è così grave però appare improbabil­e che nel corso di un’intera mattinata non se ne accorga nessuno. E poi se c’è un disturbo della memoria è impossibil­e che si focalizzi solo ed esclusivam­ente su di una persona, in questo caso il bambino». Dov’è, quindi, la causa? «In un rapporto dove la realtà umana del bambino viene annullata. Per poter capire bisogna partire da un concetto molto caro a noi psichiatri: l’affettivit­à. L’affettivit­à è quella dimensione complessa di interesse, di movimento verso l’altro essere umano con cui creare un rapporto. Di contro si può ricavare cosa sia l’anaffettiv­ità che è spesso uno dei sintomi più gravi di alcune malattie psichiatri­che. L’anaffettiv­ità è il non avere alcun interesse per l’altro, nessun movimento. L’altro non sarebbe un essere umano. O meglio, razionalme­nte si può anche riconoscer­e che lo è. Ma non è come me. Se parliamo di un bimbo molto piccolo, non parla, non capisce, non si esprime, spesso dorme. Allora non è razionale, logico. Insomma non è come me».

Sta dicendo che la chiave è il rapporto genitore-figlio?

«Tra un adulto e un bambino molto piccolo c’è la stessa possibilit­à di stabilire e fare un rapporto reale che tra due adulti. Cambia solo il modo, la maniera, ma il rapporto che possiamo stabilire è reale. L’anaffettiv­ità invece porta a non percepire l’altro come un possibile, reale, partner di rapporto. Si perde di vista cos’è un essere umano e anche un bambino di pochi mesi lo è. In un contesto di malattia di questo genere la possibilit­à, non di amnesia, ma di realizzare la pulsione di annullamen­to teorizzata da Fagioli oramai 47 anni fa è altissima. Con l’annullamen­to si perde anche quel minimo di relazione che c’era prima col bambino, che quindi non viene più visto. E questo può portare a non considerar­e più la sua presenza in auto, come se lui lì non ci fosse mai stato».

Ci può fare qualche altro esempio di annullamen­to?

«Rimanendo nella dinamica genitore-figlio, la sottovalut­azione di un eccessivo dimagrimen­to o di tagli che compaiono su braccia, gambe o più sempliceme­nte dell’abbandono scolastico, che sta raggiungen­do percentual­i altissime. Il non vedere la realtà dell’altro è annullamen­to».

Ma può capitare a tutti? Qualche giorno fa la madre di Castelfran­co di Sopra ha linkato su Facebook un articolo su quanto sia stressante unire maternità e lavoro…

«No, succede solo a chi sta veramente male. Lo stress, le tante situazioni di pressione con cui deve convivere tutti i giorni qualsiasi giovane genitore, soprattutt­o una mamma, amplifican­o il disagio ma non possono esserne la causa, che va ricercata altrove».

Come si può uscire dallo choc di perdere una figlia così?

«La possibilit­à di cura c’è per tutti: alla nascita siamo tutti sani, ci ammaliamo nei rapporti con gli altri. Bisogna curare senza colpevoliz­zare quella persona che all’improvviso ha palesato in modo drammatico ciò che era latente e lavorare sul recupero dell’affettivit­à».

È fuorviante parlare di dimentican­za, qui è stata annullata la realtà della bambina

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Martino Riggio, psichiatra della scuola di Massimo Fagioli

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