Il governo dà la stretta sugli Airbnb La replica: sono misure inapplicabili
Le novità nella «manovrina» del governo. Il colosso degli affitti: misure impraticabili
La legge per mettere ordine nel fenomeno «boom» degli Airbnb c’è, ma c’è il rischio di una impasse. Firenze era a un passo dalla firma sull’accordo tra Palazzo Vecchio e la piattaforma online, ma la nuova normativa contenuta nella «manovrina» approvata giovedì in Senato ha fissato dei paletti che la multinazionale considera «non praticabili».
La legge per mettere ordine nel fenomeno «boom» degli Airbnb finalmente c’è, ma potrebbe rivelarsi un boomerang. Almeno stando alla versione del colosso Usa degli affitti turistici. Firenze era ad un passo dalla firma dell’accordo tra Palazzo Vecchio e la piattaforma online, ma la nuova normativa contenuta nella «manovrina» approvata giovedì in Senato ha fissato dei paletti che la multinazionale californiana considera «non praticabili». E così, nell’evidente contraddizione di non poter firmare un «contratto» quando lo stesso rapporto è stabilito da una legge dello Stato, c’è il rischio di una impasse. Di un rinvio di tutto l’accordo, anche sul pagamento della tassa di soggiorno direttamente tramite Airbnb. «Non abbiamo ancora firmato niente», mette la mani avanti l’assessore Lorenzo Perra.
«Il ruolo che è stato affidato a noi piattaforme, tutte diverse fra loro, e agli agenti immobiliari è semplicemente non praticabile — spiegano dalla sede italiana di Airbnb — Attendiamo i regolamenti che spieghino come questo sistema dovrebbe funzionare anche se l’Agenzia delle entrate non ha purtroppo un mandato ampio come avremmo sperato. Le soluzioni tecniche ci sono, l’accordo che abbiamo appena siglato con Genova per la riscossione e il versamento dell’imposta di soggiorno ne è l’esempio». Insomma, meglio i contratti con i Comuni della legge nazionale.
Le novità contenute nella «manovrina» sono tre. La prima riguarda la riscossione della tassa di scopo: «Il soggetto che incassa il canone o il corrispettivo o interviene nel pagamento dei predetti compensi, è responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno e del contributo di soggiorno, nonché degli ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale» si legge nella relazione alla legge. Quindi, Airbnb e simili dovrebbero incassare e versare ai Comuni la tassa di scopo, ma anche — probabilmente — segnalare i nominativi degli ospiti in questura. Secondo punto, dovranno trattenere la cedolare secca del 21% sul costo del soggiorno. E potranno farlo anche se società non residenti in Italia (Airbnb Europa paga le tasse, con sgravi pesanti, in Irlanda). Infine, entro il 30 giugno dell’anno successivo, le piattaforme e soggetti che gestiscono queste transazioni con i privati, devono fornire i «dati relativi ai contratti sottoscritti per il loro tramite». In pratica, sarebbe una disclosure, uno svelamento delle reali dimensioni del mercato di Airbnb e simili: da qui la contrarietà per rivelazione di segreto industriale. Ma questo elemento potrebbe soprattutto scoperchiare il pentolone del «nero» e del sommerso, così come dell’elusione, degli affitti a turisti via web. Un fenomeno che, secondo l’Irpet (l’Istituto di programmazione economica della Regione) rappresenta ormai metà degli 85 milioni di presenze del 2016.
Airbnb ha già posto in audizione in Parlamento altri problemi tecnici di difficile soluzione. Ad esempio: adesso tutti gli oltre 8 mila Comuni italiani potrebbero introdurre la tassa di soggiorno. L’obbligo, per la piattaforma degli affitti online, di incassarla e versarla si trasformerebbe in un lavoro enorme perché città che vai, tassa che trovi (e sistema di trasferimento dati, peraltro). Poi, sulla questione di fornire tutti i dati dei contratti, Airbnb ha sollevato un problema di privacy, forte di un parere della Commissione europea. Allo stesso tempo, il Parlamento Europeo ha chiesto, con una relazione sull’«agenda digitale per l’economia collaborativa» — relatore il toscano Nicola Danti del Pd — di «evitare i rischi di frammentazione del Mercato unico che deriverebbero da normative nazionali e locali diverse» sia dal punto di vista fiscale che nel rapporto tra hotel e questi affitti online. Ma è successo davvero questo, con la «manovrina»: tanto che è stata demandata al governo proprio l’individuazione dei criteri per separare i gestori professionali, cioè imprenditori veri, da quelli non professionali. Era il punto che la Regione aveva provato a normare (partendo dal numero di appartamenti dati in affitto), poi bocciata dalla Corte costituzionale dopo il ricorso del governo.
Dubbi La società: attendiamo i regolamenti per capire come il sistema dovrebbe funzionare. L’impasse di Palazzo Vecchio: nessun accordo firmato