IL DIVIETO DI PAREGGIARE
L’impotenza della politica genera disaffezione tra i cittadini. Lo si è visto al primo turno delle amministrative. Nelle precedenti consultazioni i votanti erano stati il 66%, adesso appena il 60. E per la prima volta l’affluenza alle urne è stata in Toscana inferiore alla media nazionale. Si procede con il passo del gambero. L’astensionismo ha penalizzato soprattutto i Cinque Stelle. Perché il partito è allergico alle coalizioni. Perché la classe politica locale è quella che è. Perché con il precario accordo raggiunto tra i quattro grandi sul sistema elettorale similtedesco, il tradizionale elettorato grillino ha ripudiato l’omologazione del Movimento agli altri partiti. Ma anche il Pd è stato penalizzato dall’astensionismo. Renzi si è mosso a tutto campo. Fin troppo. È partito dal maggioritario per approdare al proporzionale di marca germanica. Con una disinvoltura che ha creato disorientamento. Era chiaro che al segretario del Pd non importava questo o quel sistema elettorale ma andare a elezioni anticipate il prima possibile. Anche a rischio di precipitare nella palude dell’ingovernabilità.
Il similtedesco è apparso e scomparso nell’aula di Montecitorio nel giro di poche ore. Affondato a scrutinio segreto dai Cinque Stelle, poco inclini a fare comunella con tutti quanti gli altri, e dai franchi tiratori del Pd intolleranti nei riguardi del loro segretario. Parce sepulto. L’unico aspetto positivo di questa ipotesi di sistema elettorale era rappresentata dal fatto che i quattro maggiori partiti — Pd, Cinque Stelle, Lega e Forza Italia — lo avevano tenuto a battesimo. E le regole del gioco, a cominciare dal sistema elettorale che può essere definito la spina dorsale di un regime, è bene che siano approvate a larga maggioranza.
Aldo Moro sosteneva che è meglio aver torto insieme che aver ragione da soli. Ma quest’opinione è profondamente illiberale. Anche perché il «torto» lo si vedeva a occhio nudo. Prima sarebbero passati i capilista bloccati, poi i vincitori nei collegi, poi i candidati successivi ai capilista, infine i migliori perdenti nei collegi. E i capilista, cocchi di mamma dei partiti, potevano presentarsi in più circoscrizioni. Con questo arzigogolo i capilista potevano avere il sopravvento sui vincitori nei collegi. Ed ecco la pezza peggiore del buco. Si è ridotto il numero dei collegi in favore delle liste circoscrizionali. Di modo che la quasi totalità dei parlamentari non sarebbe stata eletta ma nominata da Sua Maestà la Partitocrazia. Al punto da rimpiangere i cavalli di Caligola.
Non tutti i mali vengono per nuocere. Abbiamo una tabula rasa. E i sistemi elettorali per la Camera e il Senato sbertucciati dalla Corte costituzionale sono dei moncherini normativi talmente diversi che non garantirebbero un minimo di governabilità. Sergio Mattarella ha detto e ridetto che occorrono sistemi omogenei. Hic Rhodus, hic salta. Per fortuna un buon sistema che piaceva a Giovanni Sartori ce l’abbiamo sotto gli occhi. È quello per le comunali. Certo, non darebbe le medesime garanzie a livello nazionale. Ma il doppio turno di coalizione ci darebbe due poli contrapposti. Con il terzo incomodo di Grillo, la cui stella potrebbe appannarsi. Ha fatto sua la bandiera del tanto peggio, tanto meglio. E se la buona politica facesse finalmente capolino, per lui sarebbero guai. Nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera, Giuliano Amato ha tenuto a precisare che, sentenze della Consulta alla mano, il doppio turno alla francese e quello in vigore per i nostri Comuni sopra i 15mila abitanti non violano la Costituzione. E il Dottor sottile, si sa, non parla mai a caso.