Il gip: in Lunigiana la regola del silenzio I militari dicevano: noi come la mafia
Le violenze dei carabinieri nelle carte dell’inchiesta. Interrogato per 5 ore, il brigadiere nega tutto
Dicevano di essere «come la mafia». Dicevano che nessuno doveva permettersi di giudicarli. E dicevano anche tante altre frasi pesanti. Come quando sostenevano che «i marocchini puzzano e vanno menati, ma coi guanti altrimenti ci sporchiamo». O anche quando raccontavano — si legge nelle carte dell’inchiesta sui carabinieri della Lunigiana — che uno di loro «ha preso la pistola e l’ha infilata in bocca a uno». Nell’ordinanza di custodia cautelare del gip Ermanno De Mattia, quella che ha portato agli arresti un carabiniere e altri quattro ai domiciliari, sono tantissimi gli episodi contestati ai nove indagati di questa inchiesta (per altri 4 militari è scattato l’obbligo di dimora) sospettati di aver commesso, a vario titolo, 110 reati in sei mesi.
I fatti più eclatanti, eccezione fatta per le multe che — secondo il gip — erano usate come ritorsioni nei confronti di malviventi, riguardano i casi di violenza. L’inchiesta è infatti partita dalla denuncia che un extracomunitario, poi arrestato dai carabinieri, ha presentato attraverso il suo legale. Una querela che si è trasformata in un’indagine, della quale, grazie a un fax mandato per errore dalla Procura proprio al numero della caserma dell’Arma, erano informati anche alcuni degli indagati stessi. Gli episodi sono talmente tanti e il numero degli indagati così alto (22 per la precisione) che le indagini sono ancora in corso.
Il gip soprattutto contesta l’omertà come regola tra i carabinieri coinvolti. Ad esempio, nel caso di un marocchino ferito all’interno di un hotel, secondo il giudice le lesioni riportate non sarebbero frutto di una caduta ma di «violenza altrui», e due intercettazioni che potrebbero apparire come favorevoli per uno dei carabinieri rappresenterebbero invece un elemento di prova contro il militare. «Eravamo in quattro a vedere che nessuno lo ha toccato» si dice nelle registrazioni. Per il gip questa stessa frase diventa la prova «della regola dell’omertà che deve essere mantenuta tra i componenti di una pattuglia». Quindi questa intercettazione, del gennaio 2017, sempre secondo il giudice, deve essere letta alla luce di un’altra frase captata l’anno prima: «Noi siamo come la mafia».
Tra gli altri presunti pestaggi ricostruiti quello relativo a un clochard polacco che viene prelevato di fronte alla Lidl e viene portato nell’auto dei carabinieri, dove erano state piazzate delle microspie: la Procura contesta il sequestro di persona e il reato di lesioni. Le registrazioni restituiscono un clima violento: «La prossima volta invece di buttarlo contro la rete, lo butto nel fiume», dicono i militari. Il gip sostiene che l’uomo sia stato preso a manganellate sulla mano: «Nell’intercettazione si sente un colpo», si legge nell’ordinanza. Solo l’eventuale processo potrà chiarire come mai non si sentano le grida di dolore.
Le urla si sentono invece in un altro caso, quando un marocchino viene fermato su una bici: è sospettato di avere droga. «Dove l’hai messa la roba?», dicono i carabinieri. «Si sentono due scariche di taser (la pistola elettrica, ndr) e delle urla», si legge nelle carte dell’inchiesta. «Guarda che ti fulminiamo, eh», dicono gli intercettati. Le frasi sono violentissime, le urla lancinanti. Il verbale di prognosi dell’ospedale è, però, di tre giorni.
È comunque uno spaccato terribile, quello che emerge dall’inchiesta. Non è un caso che gli stessi vertici dell’Arma abbiano partecipato alla conferenza stampa per ribadire che nessuno può dirsi al di fuori della legge. Né lasciarsi andare a frasi contro la magistratura. «La Iacopini (titolare dell’inchiesta, ndr) deve morire», si legge nelle intercettazioni dei carabinieri sotto accusa.
Un altro dato certo è che, durante le perquisizioni dei carabinieri, sono stati sequestrati anche oggetti proibiti, come appunto taser e coltelli. Ed è indubbio, anche se almeno per il momento non viene contestata, che ci sia un’aggravante razzista e che le frasi fossero di stampo xenofobo quando ci si rivolgeva agli immigrati. I presunti pestaggi sono tuttora al centro delle indagini, come nel caso di altre tre persone picchiate che, dicono i militari intercettati, «lo hanno raccontato».
La pistola elettrica Due scariche su un uomo «Ti fulminiamo eh...» Tre giorni di prognosi nel referto dell’ospedale Le frasi razziste «I marocchini puzzano e vanno menati, ma con i guanti sennò ci sporchiamo»
Ieri mattina, per 5 ore, nel carcere militare di La Spezia è stato interrogato il birgadiere, che risulta essere uno dei principali protagonisti della vicenda. L’uomo si è dichiarato innocente spiegando di essere estraneo alle accuse mosse, che si tratta di fatti avvenuti tutti in un contesto operativo e, in alcuni casi, di non essere stato in servizio il giorno dei fatti contestati. Le indagini continuano. Il procuratore Aldo Giubilaro continua a dire che si tratta di «casi isolati». Casi sui quali ci sono «gravissimi indizi di colpevolezza» e che continueranno, in queste ore, ad essere approfonditi.