Gelli: «Alla Toscana serve un centro di rimpatrio»
Vertice tra prefetti e presidente della commissione d’inchiesta: accoglienza vicina al limite massimo
No ai vecchi Cie, ma occorre un luogo che possa ospitare 100-150 persone
«I migranti che hanno diritto a restare nel nostro Paese devono restare, ma quelli che non hanno i requisiti devono essere rimpatriati. Per questo diventa indispensabile anche in Toscana un centro per i rimpatri». Federico Gelli, presidente della commissione parlamentare di inchiesta sui migranti, ieri in prefettura a Firenze (in formazione ridotta, tra i parlamentari c’era solo il deputato Paolo Beni), ha incontrato i prefetti toscani.
La fotografia che emerge al termine dell’incontro è quella di una regione modello sul fronte dell’accoglienza, che offre ospitalità a quasi 14 mila migranti — precisamente 13.827 all’11 luglio (contro i 10 mila di un anno fa) — con soli 41 Comuni che non accolgono, principalmente sulle isole o in piccolissimi centri con pochi abitanti, su un totale di 277.
«Se l’Italia fosse la Toscana quello dei migranti non sarebbe un’emergenza — spiega Gelli — il sistema dell’accoglienza diffusa è uno dei punti di forza della nostra regione. Ma per non mettere in crisi questo modello c’è un limite al numero di migranti oltre il quale non possiamo andare. E i meccanismi per non mandare in tilt il sistema sono solo tre: bloccare le partenze dei migranti nel loro Paese, rimpatriare chi non ha diritto a restare, ripartire i migranti nei Paesi europei. La difficoltà maggiore è data dal fatto che negli anni precedenti i migranti sbarcavano da noi ma poi proseguivano il viaggio in altri Paesi d’Europa, adesso invece l’Italia è diventato il Paese di destinazione». I tempi di attesa per ottenere lo status di rifugiato politico, spiega il presidente della commissione parlamentare d’inchiesta, si sono snelliti grazie al decreto Minniti: «È stata eliminata la possibilità di fare ricorso in appello nel caso in cui viene respinta la domanda. Di fronte ad un “no” del tribunale adesso si può ricorrere solo in Cassazione ma sono pochi a farlo». In questo modo i tempi si sono dimezzati: da due anni siamo passati a 8-9 mesi, massimo un anno per completare l’iter. Per quelli che non hanno il diritto di restare la procedura dovrebbe prevedere il rimpatrio, passando dal centro previsto dal decreto Minniti: «Sarà un hub per smistare le persone che al massimo dovrà ospitare 100-150 persone. Niente di paragonabile ai vecchi Cie, i centri di identificazione, veri e propri centri di detenzione».
Le criticità emerse nel corso dell’incontro in prefettura riguardano le difficoltà del sistema di aggiudicazione a lotti separati degli appalti per i servizi di pulizia, ristorazione e ospitalità nei centri e la questione dell’integrazione: «Alcuni prefetti stanno usando misure forti nei confronti di chi ad esempio si rifiuta di imparare la lingua italiana non partecipando ai corsi di alfabetizzazione». E l’ipotesi che possano esserci sbarchi anche a Livorno? Gelli è categorico: «Assolutamente no, non può essere una soluzione. Quando arrivano sono già in condizioni disperate dal punto di vista umanitario, sanitario e fisico. Prolungare la permanenza sulle navi creerebbe responsabilità molto gravi».
La richiesta