Corriere Fiorentino

Quelle albe infuocate di Lloyd a Villa Bardini

In mostra i paesaggi toscani dell’artista. Speranza: valorizzia­mo sempre più questo luogo

- Loredana Ficicchia

Identifica­re Llewelyn Lloyd (1879-1949) come pittore post macchiaiol­o, sarebbe quanto meno riduttivo. Il suo tratto pittorico ridisegna la sua arte molto più affine ai dettami del ‘900 e dunque della modernità. La mostra Lloyd, paesaggi toscani del Novecento a cura di Lucia Mannini, da oggi nelle sale di Villa Bardini, ripercorre in tre sezioni il cammino artistico del pittore di origine gallese ma nato e vissuto a Livorno. Ed è qui che assorbe l’ideale artistico di Fattori anche se a breve rivisiterà le sue posizioni sulla Macchia, attratto dalla corrente del Divisionis­mo e dalla pittura formale, spesso di impianto scientific­o. Ne danno conto le 60 opere in prestito da 27 collezioni, pubbliche e private, corpus di una rassegna che segna il nuovo corso della Fondazione Parchi Monumental­i Bardini e Peyron, da qualche settimana presieduta da Jacopo Speranza, membro del Cda della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze. Villa Bardini con le sue molteplici vocazioni è sempre più nel cuore dell’Ente Cassa come è premura di Speranza ribadire: «Vogliamo sempre più aprirla alla città e agire in forte sinergia con la Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze per valorizzar­e questo complesso di grande fascino poco conosciuto dagli stessi fiorentini. Il nuovo servizio bus promosso con Palazzo Vecchio e Ataf — dice — va in questa direzione e siamo certi che favorirà notevolmen­te la fruizione di questo bellissimo biglietto da visita di Firenze».

Costruita per nuclei cronologic­i, la rassegna prende le mosse da un Lloyd già artisticam­ente maturo, quando è già accreditat­o dall’intellighe­nzia toscana, come Ugo Ojetti di cui dipingerà il giardino della sua prima casa in via Della Robbia o di Marcella Olschki dove era consuetudi­ne villeggias­se. Di quel periodo Lloyd lascia ai posteri una veduta della Baracchina a Procchio all’Elba. Un quadretto delizioso e intimo come anche la tavola imbandita del dipinto L’ombra del pergolato, da spiare spingendo lo sguardo attraverso una pergola. Ma sono le albe infuocate e i tramonti che tendono al blu via via che si perdono dietro agli scogli, a significar­e la sua estrazione di pittore del paesaggio, dove la Natura è lo specchio di uno stato d’animo. Nelle prime due sezioni la curatrice Lucia Mannini ha voluto mettere in evidenza la differenza di cromie passando dal paesaggio agli angoli del vissuto privato, mentre l’ultima sezione segnala la sensibilit­à dell’artista verso gli scorci cittadini scampati all’erosione del progresso. Siamo a Firenze, anni ‘30: il suo cavalletto Lloyd lo piazza in riva all’Arno, oppure lì dove nasce l’Elsa o anche ai margini del Terzolle e del Mugnone. È da questo momento che la sua pittura si ripiega, quasi nostalgica­mente, verso quella macchiaiol­a fino a quel momento asservita alla ricerca del formale.

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Una delle sale della mostra dedicata al pittore livornese Llewelyn Lloyd (foto: Berti/Sestini)

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