A COLPI DI SERENITÀ
Qualcuno, tra i renziani più ortodossi, avrebbe voluto già mettere mano alla sfiducia. Il segretario Matteo Renzi però li ha stoppati, non dando troppa importanza ai dubbi dei suoi dirigenti locali, che pure devono gestire una situazione non facile in Regione. Era già avvenuto anni addietro, quando il leader del Pd lo ricandidò per il secondo mandato: «Enrico Rossi è stato votato dai toscani e ha tutto il diritto, vorrei dire il dovere, di completare il suo mandato», dice Renzi. Dopo il risultato tutt’altro che esaltante delle ultime amministrative toscane (Pistoia persa, Carrara pure e Lucca vinta dal sindaco uscente per 361 voti), i timori per i prossimi appuntamenti elettorali sono comprensibili. Renzi non vuole altre complicazioni fra Rossi, che oggi è in Mdp, e il suo partito: nella primavera del 2018 si voterà non solo alle Politiche; ci sarà anche un altro giro di amministrative e in palio non ci sono città di seconda categoria, tutt’altro. Si vota a Pisa, Siena e Massa. Città a rischio per il Pd. Certo che una sconfitta nella città del Monte sarebbe clamorosa, ma dopo Livorno ai Cinque Stelle, Donald Trump presidente degli Stati Uniti e Genova al centrodestra, qualcuno si potrebbe mai stupire di altro? Renzi, insomma, ha deciso: Enrico (Rossi) può stare sereno. Il problema poi è che le scelte calate dall’alto finiscono tutte sul groppone dei dirigenti toscani. Il segretario dispone, gli altri devono accollarsi le conseguenze di un rapporto che si fa sempre più complicato. Per l’appunto, dopo 24 ore dall’annuncio renziano, Rossi e il sindaco di Prato, nonché presidente regionale di Anci, Matteo Biffoni, hanno discusso sulle politiche per la gestione dei migranti. Quest’ultimo vorrebbe un centro per il rimpatrio, ma il governatore si è limitato a polemizzare: «Biffoni, che è d’accordo a realizzarne uno, magari potrebbe trovare a Prato un angolino per costruire un Cie…». Rossi ha rilanciato proponendo di istituire una tassa sulle multinazionali e una patrimoniale sui redditi oltre i 100 mila euro per aiutare i migranti «a casa loro». In più, la deputata Elisa Simoni, che per mesi ha tentato di fare la «pontiera» fra il Pd, i fuoriusciti e quelli che sono tutt’ora intenzionati a mollare la casa madre, ha lasciato il partito per approdare sulla sponda di Rossi, Bersani e D’Alema. «Il Pd è diventato ormai un’altra cosa. Più simile a Forza Italia del ’94 che al Pd del Lingotto», dice all’HuffPost. Se queste sono le premesse, il più sereno di tutti — per davvero, non in senso renziano — è il centrodestra.