«Ieri, oggi e domani Tutto in una lista»
Tiziana Tramonti insegna canto al Conservatorio di Bologna e a Fiesole I ricordi d’infanzia a Campo di Marte. E un sogno: cambiare, senza genio della lampada
Tiziana Tramonti è fiorentina pura, e da questa «maledetta» città ha preso il meglio: la tenacia e l’ironia. Il suo universo è la musica. Si è diplomata in viola con Piero Farulli, ha suonato nell’Orchestra del Maggio e poi, non contenta, ha cominciato a cantare. Ha calcato le scene dei più importanti teatri del mondo, ha lavorato con i più famosi direttori e registi d’opera. Ma non si è mai montata la testa. Ultimamente si dedica all’insegnamento del canto al Conservatorio di Bologna e alla Scuola di Musica di Fiesole, fondata dal suo Maestro. Ma non solo, ha addirittura imparato a cucinare molto bene, posso testimoniare.
Cos’è che più ti manca della Firenze di quando eri bambina o ragazzina?
«Sono cresciuta in “periferia” al Campo di Marte e “in centro” ci andavo ogni tanto con la mamma vestita a festa: Il gelato da “Perché No!”, una fermata a guardare “i bomboloni che cascavano” in via del Corso e una sosta obbligata ai giocattoli del 48! La domenica pomeriggio cinema al Gambrinus dove ho visto My fair lady da cui sono uscita cantando a squarciagola “la rana gracidava in campagna!!!”. Nella strada che facevo per andare a scuola c’era il grande edificio dell’Istituto dei Ciechi che mi aveva sempre impaurito perché si vedevano ancora i fori dei proiettili della Guerra e quando ci passavo davanti affrettavo sem- pre il passo cantando “viva la pappa con il pomodoro” che avevo sentito in televisione. In estate Firenze la vedevo anche dall’alto perché la sera andavamo a prendere il fresco al piazzale Michelangelo e a mangiare al barroccino di Bruciafaenza una fetta di cocomero. Un’altra occasione per andare in centro era il concerto che i bambini delle scuole elementari facevano nel salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio. C’era sempre anche il sindaco. Mi ricordo paffutella con le trecce, il grembiule bianco e il fiocco rosa a cantare emozionata come voce solista l’inno di Mameli. È stato il momento in cui ho deciso che da grande avrei fatto la cantante».
Ricordi un aneddoto che racconta bene quell’epoca?
«Purtroppo non ho molti ricordi. Ero una bambina con genitori anziani e due fratelli più grandi di me di una diecina d’anni. Io sono arrivata dopo la morte di un fratellino per uno sciagurato incidente, per cui come è comprensibile sono sempre stata tenuta sotto stretta sorveglianza. L’unica possibilità che avevo di incontrare altri bambini era quando andavo a giocare con i figli del contadino il cui campo era adiacente alla strada dove abitavamo noi. “Non ti allontanare, voglio vedere in do’ tu sei!”. Era la frase che la mia mamma mi diceva tutte le volte che si affacciava alla finestra di camera. E lo faceva ogni dieci minuti. Si affacciava e ripeteva quella frase. Ogni dieci minuti. “L’è peggio di un oriolo a cucù!” diceva la Vera, la moglie di contadino. Questo per dire quanto fossi controllata. Eppure c’erano piccole cose che riuscivo a fare senza essere vista. Ed erano le cose che mi davano più soddisfazione. Come quando per la Festa del grillo, dopo essere andata alle Cascine e aver inscenato una “bizza” per farmi comprare una gabbietta con dentro l’animaletto canterino, riuscivo il giorno dopo a liberarlo nel campo di fronte. “Tu sei stata te a farlo scappare!”, “No, mamma.”, “Ora quando torna i’ tu babbo tu vedi come tu stai!”, “Io unn’ho fatto scappare nessuno! Si vede che l’era un grillo grullo”, “Sì, come quello dell’anno scorso”. La sera, quando il babbo tornava a casa, ero la prima a corrergli incontro per dirgli che il grillo grullo “l’era scappato”, “E come l’ha fatto a scappare? Che gli hai lasciato la porta aperta?”, “Sì, babbo. Ma
Identità Non si è saputo salvaguardare le vecchie botteghe con le loro bellissime insegne Vista Per fortuna San Lorenzo senza il soffocamento dei barroccini è tornata a respirare
perché l’è stato lui a dirmi che voleva uscire. Ma non lo dire alla mamma, sennò la s’arrabbia.” Il babbo è sempre stato un mio alleato».
Quali sono le differenze fondamentali tra la Firenze di allora e quella di oggi?
«Firenze di allora e Firenze oggi: sì, alcune cose sono cambiate. Non molte, per fortuna. Per esempio purtroppo non si è saputo salvaguardare le vecchie botteghe con le loro bellissime insegne e si è permesso invece l’invasione del cattivo gusto con l’alibi dell’ammodernamento. Bene invece la boccata di ossigeno a San Lorenzo, che ora si può ammirare senza il soffocamento dei barroccini. E bene anche il nuovo Museo dell’Opera del Duomo. Male invece il Palazzo di Giustizia che deturpa lo skyline a ovest della città. Insomma Firenze è una cosa preziosa che va trattata con molta cura se vogliamo legare il Passato al Presente per proiettarsi nel Futuro. E non lo si può trattare neppure in poche righe come sto facendo io. Chiedo venia».
Adesso diamo appunto un’occhiata al futuro. Come pensi che diventerà Firenze nei prossimi decenni, e come invece ti piacerebbe che diventasse?
«Per rispondere a questa domanda e allontanare una serie di ovvietà che mi vengono in mente, vorrei fare io una domanda al lettore di questa pagina. Cosa vi ricorda questa lista di nomi? Se al terzo o quarto nome avete già una risposta vuol dire che avete ben chiara la differenza tra la Firenze di allora e la Firenze di oggi. Bene iniziamo: Astor, Andromeda, Columbia, Cristallo. Allora? Ci siete arrivati? Noo? Allora vado avanti: Excelsior, Eolo, Nazionale, Italia, Apollo, Modernissimo, Goldoni, Garibaldi, Gambrinus, Edison, Capitol, Ariston, Alhambra, Lux, Aldebaran, Arlecchino, Cavour, Stadio, Centrale, Colonna, Follie Estive, Galileo, Universale. E chiedo scusa se ne ho dimenticato qualcuno! Questa lista secondo me è una (non l’unica) differenza con il passato. Ieri cinema e teatri. E oggi? Televisione? Neppure, i giovani non guardano più nemmeno quella. Che siano tornati a leggere libri? Speriamo».
E adesso spazio alla fantasia: cosa chiederesti per Firenze al genio della lampada di Aladino?
«Chiederei al fantomatico e fantasmatico genio della lampada che i fiorentini la finissero di pensare che ci possa essere un genio della lampada che risolve i loro problemi e che una volta tanto, come hanno fatto già in passato (chi ha buona memoria se lo ricorda), siano loro a darsi da fare per risolvere i loro problemi senza aspettare soluzioni esterne. Quindi c’è da augurarsi che la Firenze del futuro e le sue nuove generazioni la finiscano di credere negli aiuti dei geni e si mettano loro, tutti insieme, a fare i geni delle lampade per migliorare il futuro di questa città».
7. Continua. Le precedenti puntate: 9-27-12/2016, 28-1, 12-2, 14-4, 3-6/2017
Ricordi Una volta c’erano cinema e teatri. Ora i giovani non vedono nemmeno la tv: hanno ripreso a leggere?