QUI L’IRONIA NON BASTA PIÙ...
Non basterebbero Beckett e Ionesco per descrivere quel teatro dell’assurdo che è diventato il centrosinistra. Giuliano Pisapia (persona quanto mai di sinistra, nonché di indubbia eleganza e buona nascita) si è messo in testa di fare da mediatore fra il Pd, gli scissionisti dello stesso partito, ex-Sel e quant’altro. Ha fatto la sua parte nel comizio a Roma insieme a Bersani e D’Alema, ma è poi andato alla festa dell’Unità (giornale attualmente non esistente, si noti) e da gentiluomo qual è ha abbracciato Maria Elena Boschi. Apriti cielo fra i baldi esponenti del Mdp, cioè quelli che si sono scissi dal Pd per assoluta incompatibilità con qualsiasi cosa abbia a che fare con Renzi. Conseguenza: gli attacchi diretti a Pisapia per l’inaudito abbraccio hanno mandato a ramengo il previsto incontro fra l’ex sindaco di Milano e Roberto Speranza, leader dei fuoriusciti dal Pd, mentre un altro capo di un movimento rigeneratore della società nazionale, lo storico dell’arte Tomaso Montanari, per descrivere l’ignominia di tale avvenimento, in un’intervista al Fatto ha tirato in ballo nientemeno che il quadro di Caravaggio in cui una zingara (Maria Elena Boschi) predice la buona ventura a un uomo (Pisapia) e intanto gli ruba l’anello, cioè la fede nella sorte magnifica e progressiva della sinistra. A questo punto, meglio di Beckett e Ionesco potrebbero fare Achille Campanile e Ennio Flaiano, se non fosse che la situazione va oltre la possibilità di affrontarla con le armi dell’ironia.
Nel centrosinistra la discussione sulle future alleanze appare ormai priva di qualunque logica. Ciò che prevale è qualcosa di prepolitico, un antagonismo che talora sembra sfociare nell’odio, nell’avversione personale, quasi antropologica. Il problema a sinistra non è il diritto a criticare, anche duramente, le scelte del leader del Pd, ma un’ostilità preconcetta che fa di questo Pd l’avversario principale da battere, a costo di riportare indietro le lancette della storia; a una sinistra votata ad auto-escludersi dal governo del Paese; a un settarismo che fa tornare alla mente i comunisti della Terza Internazionale nei confronti dei socialisti negli anni Venti e Trenta, oppure alla messa all’indice di «traditori» tipo Tasca e Silone, per capirsi. In un clima così è dura pensare che possa farsi spazio un qualsiasi progetto comune, un confronto di idee. Idee, per la verità, che allo stato non sembrano trovare cittadinanza né all’interno del Pd né nel confuso territorio alla sua sinistra.