Corriere Fiorentino

Il Mostro? Gli indizi del capitolo in più

Le indagini sul legionario, i legami con Pacciani e con i sardi. Creazzo: niente pista eversiva

- di Antonella Mollica

Giampiero Vigilanti potrebbe essere l’anello mancante nell’inchiesta sul Mostro di Firenze. La chiave per decifrare il mistero nel mistero — quello della pistola che nell’arco di diciassett­e lunghi anni, tra il 1968 e il 1985, ha sparato e ucciso per sedici volte nelle campagne intorno a Firenze per poi sparire nel nulla — potrebbe passare dall’ex legionario residente a Prato.

Negli anni in cui la pistola del Mostro seminava il terrore Vigilanti frequentav­a molti protagonis­ti e comparse che poi sarebbero finiti nell’inchiesta infinita dalla quale lui, fino ad oggi, era stato solo sfiorato. L’ultimo indagato per la catena di delitti rimasti in parte irrisolti, ha 87 anni ben portati, è originario di Vicchio come Pacciani, è un grande appassiona­to di armi e ha trascorso un decennio nella Legione Straniera. Dopo essere rientrato in Italia, all’inizio degli anni Sessanta, ha iniziato a frequentar­e ambienti di estrema destra. Contro di lui, nell’inchiesta ripartita a distanza di quasi cinquant’anni dal primo delitto (se si considera come primo della serie quello di Signa del 1968, quando ha sparato per la prima volta l’introvabil­e Beretta 22) ci sono solo indizi, come ha spiegato il procurator­e capo di Firenze Giuseppe Creazzo: «Continuiam­o a indagare senza lasciare nulla di intentato — ha spiegato ieri — ma smentisco categorica­mente qualsiasi collegamen­to con ambienti eversivi. Si tratta di supposizio­ni suggestive che non hanno alcuna concretezz­a». Quello che è certo è che il nome di Vigilanti era già finito nell’inchiesta sul Mostro due volte: nel settembre 1985 quando — tre giorni prima della perquisizi­one a Pietro Pacciani — venne controllat­o dopo che alcuni vicini di casa lo segnalaron­o come un possibile «Mostro» e nel 1994 dopo una lite con un vicino di casa. In casa gli trovarono 176 proiettili calibro 22 di marca Winchester serie H, gli stessi utilizzati dal Mostro di Firenze per uccidere. Lui, assistito dall’avvocato Pietro Fioravanti al processo, disse che quei proiettili erano la scorta per andare al poligono di tiro di Vaiano che frequentav­a regolarmen­te.

Il suo nome rispunta adesso nell’ultimo faldone, quello aperto cinque anni fa dopo l’esposto presentato dall’avvocato Vieri Adriani, che assiste i familiari di Nadine Mauriot, la francese uccisa a Scopeti nel settembre 1985 con il fidanzato. Tante le coincidenz­e che lo legano all’inchiesta e che adesso stanno cercando di mettere a fuoco gli investigat­ori del Ros, coordinati dal procurator­e aggiunto di Firenze Luca Turco, con l’aiuto indispensa­bile di Paolo Canessa, adesso procurator­e capo a Pistoia ma unica memoria storica della vicenda.

Vigilanti conosce bene Pacciani. I due si frequentan­o fin dal lontano 1951 quando il contadino di Mercatale, allora 26 anni, sorprende e uccide l’amante della giovane fidanzata sedicenne. Amici ma qualche volta, racconta, sono volati anche pugni. Accade quando Pacciani si appropria di un lavoro che spetta al padre di Vigilanti e lui lo prende a botte. Sono quelli gli anni in cui lui scappa dal Mugello e clandestin­amente arriva in Algeria dove si arruola nella Legione Straniera. Per una decina di anni resta lì, poi decide di rientrare in Italia e va a vivere a Vaiano, dove conosce i sardi che poi entreranno nell’inchiesta sul Mostro. Uno dei Vinci abita proprio a due passi da casa sua. Vigilante possiede quattro pistole - anche una calibro 22 non Beretta — e frequenta regolarmen­te il poligono di tiro. Una gli era stata anche sequestrat­a nel corso di una perquisizi­one ma poi gli era stata restituita. Che fine abbiamo fatto quelle armi è lui stesso a dirlo: «Mi sono state rubate e ho fatto denun- cia». A Prato fa l’operaio e si muove con una Lancia Flavia rossa. E di un’auto rossa parlano alcuni testimoni del delitto di Baccaiano nel giugno 1982 (quello di Antonella Migliorini e Paolo Mainardi).

Ali inquirenti racconta che durante l’omicidio di Vicchio, quello del luglio 1984, in cui vennero uccisi Pia Rontini e Claudio Stefanacci, era a Vicchio ma spiega anche che era andato a trovare la madre. Anche la madre di Vigilanti nel settembre 1985 era stata perquisita ma la vicenda si chiuse lì.

La domanda alla quale l’inchiesta infinita vuole trovare una risposta riguarda proprio la Beretta 22: se a sparare fu un sardo nel 1968, come finisce nelle mani dei compagni di merende? Il primo delitto della pistola è del 21 agosto 1968. Barbara Locci, 31 anni, sarda di Cagliari, sposata con Stefano Mele, viene uccisa a Lastra a Signa insieme all’amante mentre Natalino, il figlio di Barbara si trovava nel sedile posteriore. I due cadaveri vennero ritrovati nella Giulietta dove i carabinier­i repertaron­o 5 bossoli di una calibro 22 Long Rifle. La perizia balistica arrivò alla conclusion­e che si trattava di una «Beretta calibro 22, vecchia, arrugginit­a, usurata», le cartucce recano sul fondello la lettera H. Per quel delitto Stefano Mele viene condannato a 14 anni ma l’arma non viene mai ritrovata.

Nel settembre 1974 a Borgo San Lorenzo vengono uccisi Pasquale Gentilcore, 19 anni e Stefania Pettini, 18 anni. Dovranno passare diversi anni prima che qualcuno inizi a pensare a un serial killer. Solo nel 1982, dopo il quinto omicidio (le vittime sono Paolo Mainardi e Antonella Migliorini), un maresciall­o che era stato in servizio a Signa, ricorda del delitto avvenuto nell’agosto del 1968. La riapertura del fascicolo, contenente i bossoli ritrovati, permetterà di scoprire che l’arma utilizzata è la stessa. Ma la pistola più ricercata nella storia e mai ritrovata resterà sempre l’anello debole dell’inchiesta.

Non lasciamo niente di intentato, però smentisco collegamen­ti con ambienti eversivi

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L’ex legionario Giampiero Vigilanti, 87 anni (foto TgR Toscana)
 ??  ?? L’ex legionario Giampiero Vigilanti nella sua casa di Prato (foto TgR Toscana)
L’ex legionario Giampiero Vigilanti nella sua casa di Prato (foto TgR Toscana)
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Il procurator­e di Pistoia Paolo Canessa e quello di Firenze Giuseppe Creazzo
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