Luci su Storaro
«Pronto a riscrivere il racconto del Battistero»
«Riscriverò il racconto del Battistero». Usando, al posto di carta e inchiostro, «la scrittura di luce». Vittorio Storaro è a Fiesole per ritirare il Premio Maestri del Cinema del Sindacato Critici Cinematografici. Ripercorre la sua cinquantennale storia di «autore della fotografia», come vuole farsi chiamare, i suoi tre premi Oscar, la lunga collaborazione con Bernardo Bertolucci, il recente sodalizio con Woody Allen. Ma intanto pensa al suo nuovo progetto: «L’ex presidente dell’Opera del Duomo Franco Lucchesi ha un passato professionale a Cinecittà, è lì che ci siamo conosciuti – racconta – Dopo l’avvio del restauro del Battistero ha pensato di cogliere l’occasione e ridisegnare anche l’illuminazione interna». Il progetto non è suo, ma di sua figlia Francesca. «Quando studiava architettura mi chiese aiuto per l’esame di illuminazione – ricorda Storaro – e si è appassionata talmente alla materia che da adulta invece dell’architetto ha deciso di intraprendere la carriera di lighting designer». È lei «la vera progettista» di questo lavoro che «stiamo facendo insieme» e che vedremo realizzato «non appena saranno finiti tutti i lavori di restauro». Occorrerà aspettare il 2018: «Gli scrittori usano le parole, noi la luce e le ombre, e non possiamo svelare come finirà quest’avventura ma abbiamo già scritto dieci pagine di storia».
Dopo la lunga serie di registi da Wim Wenders a Dario Argento, passando da Costa-Gavras e Spike Lee, l’edizione numero 39 del premio che ogni anno porta al Teatro Romano i grandi protagonisti del cinema internazionale va a una figura professionale diversa, quella che in Italia si chiama «direttore della fotografia», definizione che fa andare su tutte le furie il maestro Storaro che preferisce la dicitura anglofona cinematographer. Dopo l’incontro-seminario col pubblico e la presentazione del volume Piani di luce. La cinematografia di Vittorio Storaro (Ets) curato da Giovanni Maria Rossi e Marco Vanelli, il maestro ha ricevuto la targa dalle mani del sindaco Anna Ravoni ed è stato proiettato il suo film più celebre: Apocalypse Now di Francis For Coppola. Primo atto di una retrospettiva che proseguirà ad agosto all’Arena di Marte.
Ha vinto il primo Oscar nel 1980 per Apocalypse Now, poi con Reds di Warren Beatty e il terzo per L’Ultimo imperatore di Bertolucci con cui ha condiviso quasi tutta la carriera. Da Café Society ha stretto una collaborazione con Woody Allen
che prosegue anche per i prossimi due film. Ma avrebbe potuto essere autore della fotografia anche per Kill Bill: «Quentin Tarantino mi ha chiesto di lavorare con lui e io lo avrei fatto volentieri se lui non fosse stato irremovibile sulla volontà di girare in cinemascope: da amante degli Spaghetti Western non voleva prescindere mentre io ormai giro solo in univision, formato che ho inventato io insieme a mia figlia». Prima di lasciare Firenze ha voluto regalare un consiglio al direttore degli Uffizi Eike Schmidt: «Un museo tanto bello come collezione quanto pessimo per illuminazione. Chiamate uno bravo, alla svelta. Perché così com’è non si vede bene neanche un quadro».