Prima gli studenti, ora i viaggiatori La seconda fuga dei residenti
Pisa cambia pelle. Il vicesindaco Ghezzi: le due anime della città convivono
PISA Meno residenti, 55.000 studenti stabili, matricole in aumento e viaggiatori da tutto il mondo con numeri da capogiro. Pisa cambia pelle, e pur mantenendo la natura di città universitaria, raccoglie a piene mani la domanda turistica in ogni stanza disponibile, ovviamente su Airbnb. Arriverà a sostituire gli studenti con i turisti? «Le università non chiudono mica — scherza il vicesindaco Paolo Ghezzi —e i numeri ci confortano. Il cambio di pelle non c’è ma il fenomeno è reale: anche a Pisa il portale delle case condivise ha avuto uno sviluppo significativo e stiamo cercando di capire come assumere i giusti atteggiamenti». Dalla mappa di Airbnb si nota come la maggior parte degli alloggi siano centrali, ma è dalla top ten delle case più gettonate che emerge un dato reale: b&b professionali camuffate da case private, strutture ricettive nei pressi della Torre, seconde case, monolocali e appartamenti interi. Della filosofia del viaggiatore in cerca di esperienze insomma, resta poco.
La città, da parte sua, ha risposto alla domanda turistica anche con scelte urbanistiche precise: dipartimenti universitari decentrati, nuovi poli didattici e residenze per studenti in periferia. Sposteranno anche la movida e la vita di quartiere? «A Pisa ci sono spazi ampi e diversi dedicati alle residenze di studenti e turisti, anche in centro. Le due anime della città ancora convivono», dice ancora Ghezzi. «È una tendenza che va verso la domanda turistica — aggiunge — va saputa governare ma non solo a livello cittadino. A livello nazionale sono stati fatti tentativi di convenzioni, ma non sono ancora pienamente operativi. E anche noi — aggiunge — stiamo approfondendo la questione, ma occorrono interventi omogenei e sul piano nazionale». Più alloggi più Airbnb inoltre, significano «più turisti che dormono in città, e quindi più indotto».
Il nodo critico ovviamente è la tassa di soggiorno. La crescita esponenziale di alloggi disponibili sulla piattaforma californiana corrisponde infatti ad un mancato gettito per le casse comunali. I locatori, infatti, non pagano la tassa di soggiorno, perché la loro attività è turistica ma non professionale. Ne è consapevole l’assessore al bilancio Andrea Serfogli: «Ho già posto questo problema alla società di riscossione delle tasse comunali e agli uffici, per incontrare i responsabili di Airbnb, come ha fatto il Comune di Firenze», dice. «La normativa attuale non chiarisce se la tassa di soggiorno si possa applicare anche alle attività turistiche non professionali come queste; sui loro compensi i locatori pagano la cedolare secca, come se fosse un contratto di locazione normale». Un tentativo, aggiunge, «è quello di modificare il regolamento comunale, affinché si definisca con chiarezza qualsiasi tipo di permanenza turistica. Ma va affrontata e occorre imporre a Airbnb il versamento della tassa di soggiorno». Per gli abergatori fenomeno di Airbnb resta una concorrenza sleale: «Già è complicato mettere in regola gli affittacamere e i bed & breakfast con il sistema delle tre comunicazioni in tempo reale (presenze, tassa di soggiorno e questura), figuriamoci con Airbnb», dice Andrea Romanelli di Federalberghi. Che si unisce al coro: «Airbnb deve lottare ad armi pari».
Regole È una tendenza che va verso la domanda turistica, va saputa governare. Ma anche sul piano nazionale, non solo a livello cittadino