Un impianto moderno con il cuore di pietra E senza un galleggiante
Come hanno fatto a non accorgersene in tempo? Semplicemente perché «servirebbe una spia, che non c’è». L’impianto è moderno, l’ultima miglioria è stata realizzata nel 2010. Ma poggia su un cuore secolare, una cisterna tanto vecchia «che ha ancora i bordi in pietra» come racconta Antonio Godoli, architetto e memoria storica del polo museale fiorentino. Troppo antica per essere fornita di un galleggiante che avverta se il livello dell’acqua si abbassa sotto il livello di guardia. «Magari coglieremo l’occasione».
Il primo impianto di riscaldamento del museo risale — racconta Godoli — al 1915. «Una centrale termica che si trova in un cortile di via dei Georgofili dall’inizio del secolo, ristrutturata dopo la bomba del ‘93, che riscaldava dei piccoli termosifoni nel mezzo alle sale». La prima forma di condizionamento dell’aria per l’estate risale all’immediato dopoguerra e fu realizzato da una grande ditta fiorentina, la De Micheli» a seguito dei lavori murari nei corridoi e nelle sale. Inaugurato una prima volta nel ‘48 e una seconda nel ‘51 «per quella parte di museo che dava sul lungarno e che aveva subito i maggiori danni dai bombardamenti bellici». A metà degli anni Cinquanta arrivò il primo sistema di areazione sotto i pavimenti attraverso canali che la aspiravano e la passavano all’interno di batterie raffreddate ad acqua. Ma ancora non c’era «un sistema di umidificazione» fondamentale «perché ciò che danneggia maggiormente le opere d’arte è il secco». Le bocche che si vedono lungo le finestre, quelle a mandata (che mandano l’aria da fuori nella stanza) come quelle a parete di aspirazione, sono di quell’epoca. Abbiamo dovuto aspettare gli anni Ottanta per avere anche la funzione di umidificazione «che abbiamo realizzato con la Petrioli nella sala del Lippi e nella ex sala di Leonardo tramite batterie».
I lavori che si resero necessari dopo la bomba del ‘93 furono l’occasione per «scavare un pozzo che aspirasse l’acqua dell’Arno dal terreno per immetterla nella cisterna secolare — prosegue Godoli — È lì che va a finire l’acqua per il raffreddamento ma la cisterna che ha più di un secolo di vita, ancora col bordo di pietra, è un mero contenitore di acqua». È in quel punto che la siccità ha messo in moto la reazione a catena che ha portato alla chiusura del museo ieri: «Non era mai accaduta una crisi di questa gravità, forse è arrivato il momento di munirsi di una spia».
Dal pozzo alla cisterna e dalla cisterna all’impianto di condizionamento centrale. Da lì alla rete dei tubi «che si diramano a tutti i livelli». Parliamo di «diversi chilometri di tubi» per tutta la galleria. L’impianto ha avuto una lunga serie di ammodernamenti ogni decennio, l’ultimo risale al 2010-2011. Ma la cisterna è la stessa di un secolo fa. «E ora il problema non è più solo raffreddare l’aria ma anche cambiarla, immetterne sempre di nuova. Altrimenti è chiaro che le persone possano svenire».
Senza precedenti Godoli: una crisi simile non era mai accaduta, forse è l’occasione per munirsi di una spia