L’altra liberazione del Galluzzo
La gioia di chi da dieci anni conviveva con l’occupazione degli anarchici «Rave tutte le notti, rifiuti e minacce. Abbiamo stappato lo spumante»
Questa volta non è tanto e non solamente chi se n’è andato, ma che cosa ha lasciato. Gli anarchici della Riottosa, sgomberati giovedì mattina da polizia e carabinieri, hanno accumulato una quantità tale di immondizia (sia «prodotta» giorno dopo giorno, sia lasciata dopo l’ultimo rave) che la bonifica costerà migliaia di euro.
Attorno all’ex telegrafo del Galluzzo c’è di tutto. Brandelli di vestiti, bombole di gas, attrezzatura elettrica e da palestra, frigo, forni, materassi, sedie, biciclette, gabinetti e lavandini, sedili di auto e vecchie serrande. Oltre naturalmente a migliaia di bottiglie di plastica e di vetro. Nel giardino, inoltre, c’è perfino una roulotte usata come dependance, al cui interno gli squat hanno montato una stufa a legna (con tutti i pericoli che ne potevano conseguire) e lasciato riviste come Croce Nera Anarchica e una serie di fogli sull’anarchia in Toscana e a Carrara in particolare.
Quella montagna di spazzatura — di cui, con molta probabilità, dovrà farsi carico Palazzo Vecchio — per ora non sembra interessare le tante famiglie che abitano lì attorno. O meglio: non vogliono pensarci per non guastare quella felicità che traspare dalle parole di ognuno di loro, dagli sguardi e dal clima molto più rilassato che si respira in questo piccolo angolo di città. «Del sudicio ne riparliamo più avanti, adesso lasciateci godere questa liberazione — si sfoga Alberto Rosi mentre con la sua bicicletta gira attorno all’ex edificio occupato sulla vecchia via Senese per scattare qualche foto da postare su Facebook — Non voglio scatenare le ire di nessuno ma lo sgombero lo abbiamo vissuto come il nostro 25 aprile. Dopo dieci anni è finito un incubo». Già, un incubo che si ripeteva tutte le settimane quando alla Riottosa arrivavano centinaia di anarchici da tutta Italia per partecipare a quelle feste, a base di alcol, droga e musica tecno, che andavano avanti per tutta la notte. E guai a lamentarsi. Ne sanno qualcosa i fattori Sergio e Piero Giani, 74 e 87 anni. Sono due secoli che la loro famiglia custodisce e si occupa dei terreni, degli orti, degli uliveti e degli animali di proprietà della Certosa. «Non li sopportavamo più, era davvero dura vivere accanto a loro — raccontano i due fratelli — Dopo il blitz delle forze dell’ordine, che continuiamo a ringraziare, abbiamo stappato una bottiglia di spumante. L’avevamo tenuta da parte per un’occasione importante... ieri è arrivata». Piero Giani, inoltre, aggiunge che gli anarchici non gli permettevano neanche di andare a raccogliere le olive: «Ci sbarravano la strada con le loro auto e guai a dirgli qualcosa. Ti rispondevano a muso duro: qui si fa quello che ci pare, se ‘un ti sta bene conosci la strada...». Per non parlare dei cani, che gli occupanti lasciavano liberi di circolare senza guinzaglio e senza museruola: «Per anni mi è stato impossibile anche coltivare il campo dei monaci perché era diventato la toilette di quella gente e dei loro animali. Ecco perché siamo felici».
Patrizio, titolare della Certosa Serramenti, giovedì sera — mentre gli operai finivano di murare la Riottosa e la polizia controllava che nessuno si avvicinasse — ha voluto stringere la mano ai poliziotti: «Mi è venuto dal cuore. Perché quegli anarchici per dieci anni ci hanno tolto il sonno, organizzavano rave in continuazione. Si ubriacavano e poi sfasciavano tutte le auto parcheggiate in via Senese. All’inizio abbiamo organizzato petizioni e presentato denunce: poi ci siamo fermati perché dopo le loro minacce la paura aveva preso il sopravvento. Finalmente siamo liberi».