Cecchin in clinica: l’impiegata-killer esce dal carcere
Uccise «per invidia» la moglie dell’ex compagno di università, andrà in una residenza psichiatrica
Dopo diciassette anni ha lasciato la cella a Sollicciano, ma non è ritornata in libertà. Per Daniela Cecchin, 61 anni, ex impiegata modello del Comune di Firenze che l’8 novembre 2003 uccise con due colpi netti alla gola Rossana D’Aniello, nella sua abitazione di via della Scala, si sono aperte le porte della struttura residenziale psichiatrica «Le Querce». Per quell’efferato delitto, in primo grado era stata condannata a 30 anni di reclusione. Poi in appello i giudici avevano riconosciuto la seminfermità di mente riducendo la pena a 20 anni e disponendo la misura in un Opg per almeno tre anni. «Ho ucciso per invidia», confessò subito agli agenti di polizia che la fermarono all’alba del 13 novembre in piazza delle Cure.
Fu bloccata vicino a una cabina telefonica mentre stringeva in mano la borsa che conteneva il coltello con cui aveva ucciso. Raccontò con freddezza l’agguato a Rossana D’Aniello, la funzionaria di banca di 46 anni che aveva l’unica colpa di aver sposato un ex compagno di università di Cecchin. Con il pretesto di consegnare un pacco, la mattina dell’8 novembre, bussò al numero civico 39 di via della Scala. Rossana in casa era sola: il marito Paolo Botteri aveva accompagnato le due figlie a scuola prima di correre alla farmacia di via della Condotta. Cecchin s’intrufolò nell’abitazione, sgozzò la donna e poi fece perdere le proprie tracce. Gli investigatori risalirono a lei dalle schede telefoniche. Le stesse che aveva usato più volte per chiamare la vittima per molestarla.
Daniela Cecchin, vicentina, figlia di un ingegnere delle ferrovie, aveva conosciuto Paolo Botteri alla facoltà di Farmacia che aveva frequentato per un anno. Forse si era infatuata di quell’uomo gentile, che però non l’aveva mai ricambiata. Una donna impenetrabile dallo sguardo glaciale: così la descrissero gli inquirenti. Che scavarono nel suo passato e scoprirono che a Vicenza era stata condannata per le telefonate anonime. Ma appariva mite e religiosa. Viveva chiusa in casa, senza un compagno e senza amici, ossessionata dalla pulizia e dall’ordine, ascoltando canti gregoriani ed heavy metal.
Nel 2003 Condannata a 20 anni in appello, le fu riconosciuta la semi infermità mentale