Uffizi riaperti, con il giallo del galleggiante
Torna l’aria condizionata. «A posto per due settimane, ma serve un nuovo sistema»
Falda infingarda. Si è prosciugata «in modo impronosticabile» e «nessun galleggiante o spia o allarme avrebbe mai potuto avvertire della crisi imminente». Spiega il direttore Eike Schmidt che è stata un’anomalia dovuta alla natura e non alla tecnologia quella che lo ha portato giovedì a chiudere gli Uffizi dalle 12,30 per il malfunzionamento del condizionatore a causa della scarsità d’acqua. Il museo ha riaperto ieri: in 2400 hanno ottenuto il rimborso del biglietto, tra questi 900 lo hanno ricomprato per il giorno successivo, in 400 hanno optato per la visita a Palazzo Pitti e circa 100 all’Accademia. Durante la notte un camion, dotato di acqua comprata appositamente da Quarrata, ha rimpinguato la cisterna. «E per almeno due settimane siamo apposto» garantisce il direttore. «Ma questo incidente ha portato alla luce un problema che non potevamo conoscere e su cui ora dovremo lavorare per evitare che ricapiti».
È il problema del galleggiante (giallo) che «misura la quantità d’acqua presente nel pozzo in via dei Georgofili — spiega l’architetto Antonio Godoli –— e nel caso interviene interrompendo le pompe, evitando che si fondano» ma d’altro canto «non può misurare il livello della falda». Quindi non poteva prevedere la necessità di un ulteriore approvvigionamento.
Un problema che al momento sembra non avere soluzione a breve termine perché non è facile misurare la falda e per le alternative servono nuovi progetti. «Non c’è una spia che possa allertare di fronte a una crisi come questa» dice Godoli; «in realtà ne abbiamo due — ribatte Schmidt — una meccanica l’altra elettronica, ma sono nel pozzo, e ci indicano il livello in tempo reale. Poi sta agli specialisti stabilire se e quando intervenire»; «quello che manca è una spia che ci possa dire quando la falda si secca e il pozzo non pesca più» continua Godoli. «Per evitare che in futuro si possa ripetere dovremmo allora costruire un altro serbatoio, più grande — chiude Schmidt — Ma stiamo ragionando in via teorica perché finora non era ipotizzabile che ce ne fosse bisogno».
Insomma la spia c’è ma non riesce ad andare abbastanza in profondità. E i tecnici del museo avevano visto, giovedì sera, il livello dell’acqua scendere molto «ma è arrivata — spiega Simone Resca dell’impresa concessionaria per la manutenzione — più o meno ai livelli di tanti altri giorni di questo gran caldo e hanno confidato che come accade tutte le notti, sarebbe tornata a risalire quando il consumo è minore dell’apporto». Ma non è avvenuto. È stata «un’anomalia naturale». Prosegue Resca: «Noi poi ce ne siamo accorti di mattina ma ormai la crisi era tale che per tornare a regime ci sarebbero volute ore».
Dunque, come prevenire? «Tra quando scatta l’allarme e quando è troppo tardi per fare qualcosa, passa un lasso di tempo variabile a seconda del consumo di energia — spiega ancora il manutentore — in questo caso è stato troppo breve, il pozzo non si era mai svuotato così in fretta». È per questo che Godoli ritiene «la spia non sufficiente». Siamo di fronte a «un nuovo problema che ora prenderemo in considerazione per modificare il tasso di allerta» aggiunge Schmidt. Magari, si augura Godoli, «l’ideale sarebbe dotarsi di un impianto che prescinda dai pozzi: è molto costoso, ma gli Uffizi meritano il meglio». Questo incidente ci insegna, chiosa Resca, «che i tempi di risposta presi finora in considerazione non sono più una sicurezza».