Cinque anarchici tornano liberi Il giudice: nessun grave indizio
Solo uno resta in cella. Il gip di Firenze smonta la tesi della Procura, ma quello di Lecce la conferma
Ritornano in libertà cinque dei sei anarchici fermati a Firenze per l’attentato alla libreria di CasaPound la notte di Capodanno e il lancio di molotov alla caserma dei carabinieri di Rovezzano. Resta in carcere solo Salvatore Vespertino, tradito dalle tracce di Dna lasciate sul nastro adesivo mentre costruiva, secondo l’accusa, la bomba per l’attentato alla libreria il Bargello nel quale ha perso un occhio e la mano l’artificiere Mario Vece.
L’intera prospettiva accusatoria viene ribaltata dal gip Fabio Frangini che non ha convalidato il fermo per i sei indagati. Il giudice interpreta in maniera diametralmente opposta gli indizi raccolti dalla Digos e dal Ros. Sono assenti,a suo dire, i gravi indizi di colpevolezza, mentre resta in piede la misura cautelare in carcere per Vespertino: «È pericoloso perché è in grado di confezionare ordigni esplosivi micidiali». Non solo: su quel che resta della bomba di Capodanno viene trovato il suo Dna. «Sulla base di tali elementi non possono sorgere dubbi sul fatto che l’ordigno sia stato creato dal Vespertino» annota il gip.
Mentre a Firenze la quasi totalità dell’indagine della Procura è stata bocciata dal giudice Frangini, sulla base delle stesse indagini il gip di Lecce ha convalidato il fermo per Pierloreto Fallanca, 30 anni, bloccato in Salento giovedì durante la stessa operazione che ha portato agli arresti fiorentini. Un altro militante di area anarchica era stato fermato a Roma: sul suo fermo la decisione arriverà oggi.
Tutti gli anarchici ieri si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Per il procuratore Giuseppe Creazzo, e i sostituti Beatrice Giunti e Filippo Focardi gli elementi di forza dell’indagine erano nell’incrocio di dati come intercettazioni, pedinamenti e letture di documenti, ma il gip Frangini la pensa in maniera diversa. «Molte delle ipotesi accusatorie sono fondate sul risultato delle conversazioni captate la cui interpretazione è tutt’altro che pacifica — premette il gip nel provvedimento — Le intercettazioni restano un mezzo di ricerca della prova e da sole, soprattutto se la loro interpretazione non è univoca, ben difficilmente possono sostituirsi integralmente alla prova e soddisfare le esigenze indiziarie e probatorie». Ventuno pagine per due episodi: quello delle molotov a Rovezzano che avevano portato al fermo di Sandro Carovac, Micol Marino e Marina Porcu; e quello della bomba di Capodanno che aveva portato al fermo di Nicola Almerigogna, Roberto Cropo e Giovanni Ghezzi.
Sulle molotov, il gip sostiene che quegli stessi filmati, usati per arrivare all’identificazione degli anarchici, «non sono stati prodotti per essere visionati: si dubita fortemente sul fatto che tali filmati, che non hanno consentito di arrivare a una più certa fisionomia e identificazione dei soggetti, possano consentire di capire con certezza che si trattasse» di quei tre anarchici. Erano stati identificati dal Ros grazie al «modo di correre e alla postura del corpo», ma per il gip queste non sono altro che «valutazioni assolutamente personali, per nulla basate su evidenze scientifiche». In pratica «troppo poco per poter ritenere che le immagini possano ricondurre con adeguato quadro di gravità indiziaria ai tre indagati». Nessun riscontro, secondo il gip, «arriva anche dai tabulati telefonici: nessuna delle utenze degli indagati è stata rintracciata nella zona di Rovezzano». Il gip critica il lavoro degli investigatori: la «boccia» nominata nelle intercettazioni non sarebbe una molotov perché «in gergo fiorentino la boccia è la bottiglia». Eccepisce sul pericolo di fuga: «Sapevano di essere indagati e nessuno stava preparando una fuga all’estero. Anzi, c’era chi rientrava in Italia».
La Digos aveva ricostruito i loro rapporti internazionali e le disponibilità, in alcuni casi, di camper proprio per stabilire il nesso del pericolo di fuga. Per quanto riguarda l’indagine sulla bomba di Capodanno, il gip Frangini non è convinto che quando uno degli indagati intercettati dice «ho messo un bombone in bocca a Casapound» si riferisca al botto di Capodanno: questa intercettazione ha «veramente poco di giuridico», annota. Anche le «conversazioni captate» tra gli indagati «non consentono in alcun modo di ritenere la loro partecipazione all’attentato». Durante le perquisizioni subito dopo l’attentato erano state trovate delle bombolette spray simili a quelle usate per confezionare la bomba. «Erano state rinvenute in un’auto di uno degli indagati ma anche dentro un camper e nella perquisizione a Villa Il Panico», annota il gip Frangini.
Anche sulle «informazioni segrete» in possesso del gruppo — indicate dalla Procura come una provvidenziale fuga di notizie — il gip Frangini è categorico: «Tali fatti di cui potrebbero avvalere gli indagati si sono rivelati inutili, se è vero come è vero che tutti gli indagati sono stati rinvenuti regolarmente».