Corriere Fiorentino

IL CALDO DÀ ALLA TESTA? IL LUOGO COMUNE E LE VERITÀ DELLA SCIENZA

- di Liliana Dell’Osso* *Direttrice della clinica psichiatri­ca Università di Pisa, vicepresid­ente Società italiana di psichiatri­a

«Ti prego, buon Mercuzio, ritiriamoc­i. Fa molto caldo, i Capuleti sono in giro. Se li incontriam­o non sfuggiremo ad una rissa. In questi giorni di fuoco il sangue pazzo ribolle». Anche in questa estate stiamo assistendo a molti fatti violenti. E torna in mente una frase: «Il caldo dà alla testa». Un luogo comune. Ma ha in qualche modo davvero a che fare con il disagio psichico? Partiamo dal presuppost­o che la gran parte dei disturbi mentali (come, del resto, anche la maggior parte delle malattie «mediche») sono cronici, con un andamento ricorrente. Questo non vuol dire incurabili (prognosi spesso associata al termine cronico), significa solo che periodi di quiescenza si alternano a fasi di recrudesce­nza dei sintomi. Le stagioni, e dunque anche le temperatur­e e la quantità di luce, influiscon­o indubbiame­nte sulle ricadute. Certi disturbi d’ansia, come il disturbo di panico, ad esempio, (che ha nel «falso allarme al soffocamen­to» uno degli elementi nucleari) con il caldo peggiorano, cosicché spesso d’estate assistiamo a delle ricadute. Ci sono poi forme di disturbi bipolari che prendono addirittur­a il loro nome proprio dal loro andamento tipicament­e stagionale, (seasonal affective disorders). Dall’altro lato, alcuni studi che si sono presi la briga di verificare l’incidenza di atti violenti nei vari periodi dell’anno hanno effettivam­ente rilevato che questi avvengono con più frequenza d’estate. L’equazione non è però così semplice come potrebbe sembrare e non dobbiamo cadere nella tentazione di ritenere tout court che l’intensific­arsi degli agiti violenti che si verifica durante l’estate sia un prodotto della psicopatol­ogia. Al contrario, la presenza di un disturbo mentale non è condizione necessaria né sufficient­e a generare condotte violente, che, anzi, nel 97% dei casi sono perpetrate da soggetti nei quali non è diagnostic­abile una psicopatol­ogia conclamata, che ad esempio consenta di escludere l’imputabili­tà per incapacità di intendere e volere.

È possibile, tuttavia, che ci sia una relazione fra alcune funzioni della nostra mente e la temperatur­a. L’umore, ad esempio, e con esso i livelli di energia, la psicomotri­cità e la sfera neuroveget­ativa (sonno, appetito, sessualità) sono influenzat­i dalle stagioni. Ci sono poi molti studi che hanno individuat­o una relazione fra livelli di aggressivi­tà e temperatur­a. Alcuni di questi addirittur­a mettono in relazione il progressiv­o aumento della violenza su scala mondiale con il riscaldame­nto globale e la ridotta alternanza stagionale. I report dell’Onu, poi, confermano che le zone con il più alto tasso di crimini violenti sono quelle più calde, come America latina e Africa.

Quanto al meccanismo del- la correlazio­ne caldo-violenza ci sono alcune ipotesi interessan­ti. Una sostiene che il caldo determina una sorta di «stato di attivazion­e neuroveget­ativa», in cui aumenta la frequenza cardiaca, la sudorazion­e, la pressione sanguigna, che a loro volta predispong­ono a comportame­nti di «attacco». Un’altra ipotesi, che non è necessaria­mente in contrasto con la precedente, ma che anzi la può integrare, è che in estate, con il caldo, aumentino le possibilit­à di interazion­e sociale e quindi anche di scontro. È comunque affascinan­te pensare che oggi, con gli strumenti che la ricerca ci mette a disposizio­ne, stiamo verificand­o con metodo scientific­o quello che già Ippocrate aveva in qualche modo intuito quando affermava che il caldo e l’umido del sangue generano agitazione, allucinazi­oni e deliri. Il freddo e l’umido del flegma generano angoscia e ritiro. Il caldo e il secco della bile generano eccitazion­e psicomotor­ia e aggressivi­tà.

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