IL CALDO DÀ ALLA TESTA? IL LUOGO COMUNE E LE VERITÀ DELLA SCIENZA
«Ti prego, buon Mercuzio, ritiriamoci. Fa molto caldo, i Capuleti sono in giro. Se li incontriamo non sfuggiremo ad una rissa. In questi giorni di fuoco il sangue pazzo ribolle». Anche in questa estate stiamo assistendo a molti fatti violenti. E torna in mente una frase: «Il caldo dà alla testa». Un luogo comune. Ma ha in qualche modo davvero a che fare con il disagio psichico? Partiamo dal presupposto che la gran parte dei disturbi mentali (come, del resto, anche la maggior parte delle malattie «mediche») sono cronici, con un andamento ricorrente. Questo non vuol dire incurabili (prognosi spesso associata al termine cronico), significa solo che periodi di quiescenza si alternano a fasi di recrudescenza dei sintomi. Le stagioni, e dunque anche le temperature e la quantità di luce, influiscono indubbiamente sulle ricadute. Certi disturbi d’ansia, come il disturbo di panico, ad esempio, (che ha nel «falso allarme al soffocamento» uno degli elementi nucleari) con il caldo peggiorano, cosicché spesso d’estate assistiamo a delle ricadute. Ci sono poi forme di disturbi bipolari che prendono addirittura il loro nome proprio dal loro andamento tipicamente stagionale, (seasonal affective disorders). Dall’altro lato, alcuni studi che si sono presi la briga di verificare l’incidenza di atti violenti nei vari periodi dell’anno hanno effettivamente rilevato che questi avvengono con più frequenza d’estate. L’equazione non è però così semplice come potrebbe sembrare e non dobbiamo cadere nella tentazione di ritenere tout court che l’intensificarsi degli agiti violenti che si verifica durante l’estate sia un prodotto della psicopatologia. Al contrario, la presenza di un disturbo mentale non è condizione necessaria né sufficiente a generare condotte violente, che, anzi, nel 97% dei casi sono perpetrate da soggetti nei quali non è diagnosticabile una psicopatologia conclamata, che ad esempio consenta di escludere l’imputabilità per incapacità di intendere e volere.
È possibile, tuttavia, che ci sia una relazione fra alcune funzioni della nostra mente e la temperatura. L’umore, ad esempio, e con esso i livelli di energia, la psicomotricità e la sfera neurovegetativa (sonno, appetito, sessualità) sono influenzati dalle stagioni. Ci sono poi molti studi che hanno individuato una relazione fra livelli di aggressività e temperatura. Alcuni di questi addirittura mettono in relazione il progressivo aumento della violenza su scala mondiale con il riscaldamento globale e la ridotta alternanza stagionale. I report dell’Onu, poi, confermano che le zone con il più alto tasso di crimini violenti sono quelle più calde, come America latina e Africa.
Quanto al meccanismo del- la correlazione caldo-violenza ci sono alcune ipotesi interessanti. Una sostiene che il caldo determina una sorta di «stato di attivazione neurovegetativa», in cui aumenta la frequenza cardiaca, la sudorazione, la pressione sanguigna, che a loro volta predispongono a comportamenti di «attacco». Un’altra ipotesi, che non è necessariamente in contrasto con la precedente, ma che anzi la può integrare, è che in estate, con il caldo, aumentino le possibilità di interazione sociale e quindi anche di scontro. È comunque affascinante pensare che oggi, con gli strumenti che la ricerca ci mette a disposizione, stiamo verificando con metodo scientifico quello che già Ippocrate aveva in qualche modo intuito quando affermava che il caldo e l’umido del sangue generano agitazione, allucinazioni e deliri. Il freddo e l’umido del flegma generano angoscia e ritiro. Il caldo e il secco della bile generano eccitazione psicomotoria e aggressività.