LE ZITELLE INGLESI DEL TE’ (VISTE DALL’OMBRELLINO)
Le vie strette dagli odori confusi, la gobba della Cupola, l’attaccamento della colonia straniera E poi i suoni, dal raglio dell’asino al clamore delle campane. Ecco Firenze, da Bellosguardo
Ai primi di Maggio del 1908 arrivai a Firenze con mia zia Jessie. Ci fermammo in una pensione in via Venezia, una strada distinta ma piuttosto anonima, poco frequentata e priva dello Sturm und drang di via Cavour. Non vi era traccia di panni stesi che penzolano sulla testa dei passanti, impossibile stringersi la mano da una finestra all’altra. Non c’è da stupirsi che, in quegli anni, fosse considerata la strada più salubre di Firenze! Dalle finestre, sui tetti, si intravedeva la cupola del Duomo. Non vedevo l’ora di immergermi nelle strade strette di Firenze per decifrare ad uno ad uno i suoi odori confusi: pelle conciata, olio sfrigolante, formaggio stagionato, urina, caffè. Lentamente la grazia e la bellezza della gente del posto cominciava a solleticare la mia curiosità. Il portalettere... Ero sicura di averlo già visto, ma dove? Nel quadro dei musici di Tiziano (lui è quello che suona la spinetta). Giannina, la governante? Sembrava uscita da un quadro di Ghirlandaio. I bambini in strada? Avevano l’inconfondibile armonia di Verrocchio. Credo fermamente che i fiorentini siano genuini nella loro originalità: non potranno mai essere banali! A Firenze ho capito quanto l’Italia, come la Francia, sarebbe stata per me necessaria, anche se per motivi diversi. L’Italia può essere sovra-impressa; la Francia è la pietra angolare senza la quale non si può erigere nulla.
Dall’alto della Villa
«Chi vuol essere lieto sia, di doman’ non c’è certezza» cantava Lorenzo de’ Medici. «Now let us sport us while we may…» consigliava Marvell. «Vivez, si m’en croyez, n’attendez à demain» esortava Ronsard. Sicuramente la caducità dell’esistenza doveva essere uno dei principali interessi dei poeti del Rinascimento. Firenze a Maggio sembra riverberare la loro poetica esortazione. Firenze a Maggio… La vista da Villa dell’Ombrellino è senza dubbio una delle più inspiring al mondo. La villa è situata sulla collina di Bellosguardo; dalla terrazza, dove un balletto di statue del Seicento fa da coreografia allo scenario, lo sguardo si immerge nelle creazioni spettacolari dell’uomo: la cupola della Cattedrale, il Battistero, la silhouette rapace di Palazzo Vecchio. Distesa la città armonicamente composta resta indifferente alla fuga dell’Arno verso un verdeggiante paesaggio pastorale… In ogni dove, una punteggiatura di cipressi con, qui e là, una pausa di bouganville violacee sottolinea la giusta importanza di una chiesa e di un campanile. La bianca strada impolverata che si arrampica lungo la collina di Bellosguardo risuona di canti, durante il giorno; di innamorati, durante la notte.«C’est comme si vous aviez une baignoire sur l’Acropole», mi disse un giorno il grande Louis Jouvet; ma ci fu anche un giovane inglese che, puntando il dito verso il Duomo, chiese a mia madre: «Cos’è quella gobba?».
La colonia inglese
La colonia inglese di Firenze! Chi potrebbe sperare di fare onore alla sua inzaccherata galanteria, ai suoi ostinati ideali? Vecchie zitelle in boccio devote a Firenze da quando sono nate (circa mezzo secolo fa), che guadagnano una miseria, rinunciano a tutto tranne che al tè! Con il passare degli anni invecchiano ma i loro cappelli ringiovaniscono, sono più floreali, più simili a quelli delle ragazzine: fioriscono le rose sulla testa delle settantenni! Anche i loro occhi si rifiutano di invecchiare. Ostinatamente azzurri sono tutto ciò che resta di quello che un tempo era stato un viso fresco e rotondo. Svezzate a Ruskin e a Vernon Lee, mantengono sempre vivi i propri entusiasmi; continuano ad ammirare quello che avevano ammirato la prima volta che erano giunte a Firenze, per imparare o per insegnare. Che cosa conoscono dell’Italia? Non si allontanano molto da Firenze: Pisa, Venezia, Assisi, (Caro San Francesco, ho sempre pensato che ci sia qualcosa di inglese nel Tuo amore per gli uccelli!) qualche giornata santa a Roma dove hanno la strana sensazione di essere la reincarnazione dei primi martiri cristiani. Le più ardite si spingono fino a Napoli (Che c’è che non va in Napoli? Forse, il fatto che gli uomini non fanno che fissare?) ma poi… Oh che sollievo! Si torna a Firenze. Di nuovo da Pineider, di nuovo nella Chiesa anglicana e nell’accogliente Giacosa. È come tornare a casa. Ogni famiglia fiorentina ha una docile Mees considerata al pari di uno strano animaletto domestico. I bambini le fanno visita di continuo come se si trattasse di una giraffa allo zoo. Restano ad osservarla a bocca aperta con la stessa meraviglia che si prova alla vista di un’oasi nel deserto. Mai in vita hanno visto una cosa così arida e così piatta!
Firenze al risveglio…
Le campane riempiono l’aria con il loro clamore bronzeo; sgomitano e si contraddicono l’un l’altra in un alterco mattutino; di tanto in tanto, una nota più forte e più intensa come un monito irrompe in quella confusione per imporre il suo ritmo e rimproverare quel baccano. Da qualche parte sulle rive dell’Arno, un asino raglia con straordinaria insistenza; il garzone del fornaio nel suo giro mattutino canticchia un motivetto popolare con il trasporto della passione: «Stretti stretti al tuo sen’ognor. La spagnola sa amar così, bocc’a bocca la nott’e il dì...».
L’alluvione del 1966
(…) La terribile alluvione ha tirato fuori il meglio dei fiorentini che possiedono ancora: grinta, coraggio, intraprendenza. Senza acqua, senza cibo, senza luce, non hanno perso la loro arguzia: «Per fortuna non abbiamo come sindaco La Pira… Quanto gli sarebbe piaciuto camminare sulle acque!».
Estratti da: «Les Trois Violettes» (1949)/ «Don’t look round» (1952); «Prelude to Misadventure» (1941); «I Papagalli sull’Arno», a cura di T.Masucci (2017); «Manoscritto inedito sull’alluvione» (1966)
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