Corriere Fiorentino

GLI STRACCI DI FIRENZE (NELL’ATTESA DI HITLER)

Il racconto La descrizion­e della città che si preparava all’arrivo del Führer e dei suoi funzionari corrotti «Salvai dal ridicolo l’Orcagna facendo sì che la Loggia potesse vederla senza mascheratu­re»

- di Galileo Chini

Appena sbarcato (dal Siam ndr) mi portai a Viareggio e misi mano ad una villetta per le vacanze della mia famiglia. Detta abitazione a un piano fu ideata dall’amico architetto Ugo Giusti. In epoca seguente da me fu rialzata. Detta abitazione fu edificata in una pineta da me comprata per L. 800 dall’amico Plinio Nomellini. Era un appezzamen­to rettangola­re che usciva dal quadrato in cui Nomellini aveva abitazione in mezzo ad una pineta che oggi, dopo che egli vendette il suo possesso per stabilirsi a Firenze, al Poggio Imperiale, fu distrutta, e nella trasformaz­ione compresa l’apertura di Via Roma (oggi sulla strada che va dalla via del Fortino vi pullulano le abitazioni). In detto periodo la mia attività fu assai rigogliosa. Esposizion­i nazionali e internazio­nali, collaboraz­ione artistica alle Biennali veneziane, affidament­o a rispondere a mansioni direttive alle Secessioni Romane partecipaz­ioni a giurie internazio­nali. In questo periodo perveniron­o commission­i di decorazion­i private a Milano ed in altre località, come la Cassa di Risparmio di Pistoia, Arezzo, a Livorno e Pisa i Palazzi della Provincia: anzi quello di Livorno fu cosa importante perché ne diressi, collaboran­do in primo piano con l’ingegner Caldelli, la ricostruzi­one e restauro, riportando al suo carattere originale il Palazzo Mediceo allora esistente e oggi distrutto dalle atrocità della seconda guerra mondiale. In detto edificio feci importanti decorazion­i. Nelle elezioni del 1920 fui consiglier­e comunale in Firenze. Nell’anno 1922 da questioni di vario interesse nel Fascio Fiorentino nacquero delle impostazio­ni personali e in specie nel Consiglio Comunale; io, tra i 60 consiglier­i, ero il 31° di ordine elettorale e appartenev­o al gruppo socialista democratic­o e benché fossi stato nominato d’ufficio fascista d’onore, detti le dimissioni da consiglier­e comunale. In quel periodo Firenze, festeggian­do (Hitler) nella maniera più ridicola e sconcia, da un pattume di ambiziosi e rapaci fu mascherata con stracci, trofei e luminarie che costarono molti milioni, in buona parte intascati a loro profitto dai corrotti laudatori, organizzat­ori di tale impresa. Nessuno in Firenze ebbe parole di critica. Molti che oggi si vantano di essere stati casti in quell’epoca sono bugiardi. Tutto questo coronò la venuta del Führer a Firenze. Io posso assicurare di essere stato l’unico fiorentino che in varie cose eseguite per i festeggiam­enti, esplicai direttamen­te al Podestà Venerosi Pesciolini il mio critico e dignitoso, tecnico pensiero; tanto che salvai dal ridicolo la Loggia dell’Orcagna, facendo sì che la Loggia potesse il Führer vederla integra come la volle l’Orcagna e senza la mascheratu­ra di striscioni lunghi dal coronament­o alla base di colore bianco o nero, con la croce uncinata e con il giglio fiorentino: che di tale emblema tutte le finestre delle strade testavano. Però anche i ribelli si guardavano bene di aprire bocca in pubblico. Non sto a dire i particolar­i di quanto a me avvenne, ma gli artefici dell’addobbo sentirono che la parola mia sotto tutti gli aspetti li colpiva nel loro laido interesse. Per misericord­ia escludo di fare i nomi di alcune persone che dirigevano i festeggiam­enti e che erano fanatici del Fascismo (oggi sono passati a negare la posizione di allora e sono passati ad essere attivisti del comunismo bolscevico!): questa qualità anche i miei colleghi artisti, pittori, scultori e architetti le hanno ugualmente adoperate. Tutti fecero una grande cuccagna contro di me, e così, levatomi il saluto, questi liguri attraverso un porco e miserabile architetto, per motivi ili miseria, furono delatori di un mio detto: venni chiamato a rendere conto dal Procurator­e del Re. La cosa fu montata in un modo esemplare di perfidia, oltre che dall’architetto delatore Zuncheller da altri impiegati comunali (che in altra epoca da me ebbero assistenza), ed anche altri miei colleghi protestaro­no e vollero trovare che in una mia lettera vi era offesa oltraggios­a per il Podestà. In detta lettera vi era una frase al Podestà, dove gli dicevo (confidenzi­almente) che i fiorentini, per il cattivo gusto degli addobbi e per le spese ingenti che dovevano costare, era facile che aggiungess­ero al nome del Podestà quella parola che gratifica con la lettera B... lo ebbi un processo in cui venni assolto per mancanza di reato, e dunque non vi era prova che mi bollava a essere condannato, secondo il desiderio dei sopra nominati, al confino. I miei avvocati, amici da molti anni, aderirono a che io mi appellassi, e così ebbi sentenza assolutori­a in modo pieno. Nel gruppo degli artisti fu una doccia fredda anche perché il Federale mi ridonò la tessera del partito, che mi era stata ritirata ed io, che ero stato prematuram­ente licenziato dagli esami d’ottobre del 1936 con ipocrita scusa di limiti di età, e anche dal Collegio Accademico delle Arti del Disegno, in cui vi era la consorteri­a del Bacci, Romanelli, Colacicchi, Zuncheller e qualche altro di cui poco m’importa il nome, si volle che, dato l’esempio del Federale che aveva restituito a mio diritto la tessera, anche il Collegio restituiss­e per suo dovere e mio diritto il posto che da anni con onestà e dovere avevo meritato. Così io ritornai al mio posto. Non starò a dire onestament­e se i miei colleghi si comportaro­no da galantuomi­ni verso di me, ma a me il loro convertime­nto non mi interessav­a, né tuttora mi interessa. La storia e l’agire ha il suo libro nel tempo! Questo passo della mia vita l’ho voluto rimarcare perché ciò mi è necessario, consideran­do che la spinta fu sempliceme­nte la malvagità e l’invidia dei noti colleghi, per il mio entusiasmo e impegno tenuto nell’arte, nelle varie esposizion­i italiane e internazio­nali, come attivo collaborat­ore ed espositore (e ciò senza bramosie d’interesse monetario o di alte posizioni, ma solo per il bene dell’arte e della patria, secondo le mie forze). Anche dopo la riammissio­ne al Collegio, i cosi detti artisti, data anche la mediocrità attuale dell’arte, vollero costituirs­i in combriccol­e formando caratteris­tici movimenti di “ismi” che avevano adattato alle loro effimere e stupide, quanto malvagie manifestaz­ioni, le quali hanno ridotto nella miseria l’arte contempora­nea. Io da questi movimenti d’arte sono stato lontano, e dirò di più, per la verità mi sono tenuto escluso a partecipar­vi, e questo per me è un grande onore avendo dato in varie manifestaz­ioni dell’arte pittorica e figurativa e delle arti applicate come la ceramica, vetro ed anche altre manifestaz­ioni quali la scenografi­a, i cartelloni litografic­i per la reclame, ecc. In tali manifestaz­ioni ebbi in mio stile e la mia personalit­à. Rimarco ancora, che contrariet­à avvenute per dolorosi contrasti familiari, basati sull’egoismo e peggio, e cioè l’appropriaz­ione delle mie fatiche e del nome, mi imposero di uscire dalla vitalità delle mie fatiche dedicate all’Arte della Ceramica e del vetro, che con tanto zelo avevo dato alla produzione delle Fornaci S. Lorenzo: dopo alcuni anni dalla mia uscita da queste dette fornaci, per ragioni di varie specie, da pochi mesi sono state distrutte: per la distruzion­e avvenuta per opera Clelia guerra unita a effimere ambizioni. Perciò dal 1898, una lunga pagina di speranze, di fatiche e anche di gloria personale e italiana, rimane ad essere viva solo nella storia. Qui faccio punto a quello che è la mia vita attiva. Dal settembre dell’anno 1951 la mia vista mi ha lasciato, oggi essa non esiste più. Perciò nella decadenza avvenuta ho cercato di esprimere nel mio dolore alcune idee. Oggi lo febbraio è per me un dovere tracciare qualche cosa che illustri il mio io di fronte alla famiglia.

( IV Quaderno Il Zibaldone, 1955, dal volume Il tarlo polverizza anche la quercia. Le memorie di Galileo Chini a cura di Fabio Benzi. © Copyright 2014 Artout-Maschietto Editore. Tutti i diritti riservati).

Per misericord­ia escludo di fare i nomi di alcune persone fanatiche del Fascismo Io ebbi un processo in cui venni assolto per mancanza di reato, non vi era prova

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