Sergente di ferro
Addio mister Bersellini Fece esordire Baggio in serie A
Un’estate particolare, quella del 1986. Mentre Maradona dominava l’universo del pallone dopo aver vinto quasi da solo il Mondiale, a Firenze i Pontello avevano deciso che era arrivata l’era del riflusso: niente più investimenti, ma un rientro più o meno veloce dei miliardi spesi. Cominciarono così quattro anni di sofferenza, solo che al tempo se ne erano accorti in pochi perché la Fiorentina aveva appena centrato un gran bel quarto posto.
È vero che se ne erano andati Galli, Massaro e Passarella, però era arrivato Diaz, si parlava del giovane Van Basten e tutto sommato si respirava un sano ottimismo. All’improvviso, la bufera: via Agroppi e Nassi per un mai chiarito diverbio con Pier Cesare Baretti, legato probabilmente alle reali ambizione della società, e spazio per un nuovo allenatore. Dopo aver cercato con qualche difficoltà di far crescere a Genova i ragazzi terribili Vialli e Manchini così viziati e coccolati dal presidente Mantovani, il cinquantenne Eugenio Bersellini se ne stava bello e tranquillo nella sua splendida tenuta agricola di Borgo Val di Taro a fare per un po’ il Cincicnnato. Chiamano dalla nuova sede di Piazza Savonarola, fanno un’offerta piuttosto bassa per chi aveva già vinto uno scudetto e due Coppe Italia e lui dice sì di istinto: arrivo subito. Altro che anno sabbatico! Quello poteva aspettare e infatti non arrivò mai, almeno fino a quando la salute ha assistito questo autentico signore del calcio, gentile e disponibile con tutti.
Il passaggio dai metodi del primo Agroppi a quelli del cosiddetto «sergente di ferro» non fu indolore ed ebbe un bel daffare Oriali, suo autentico mentore ai tempi dell’Inter e ormai alla sua ultima stagione in viola, per diffonderne il verbo nello spogliatoio. A Firenze Bersellini è stato a suo modo un tecnico storico e non (purtroppo) per via dei successi ottenuti. La sua Fiorentina fu eliminata subito dall’Uefa in Portogallo ai rigori, quando il povero Maldera si fece male in fase di riscaldamento mettendo un piede in un secchio. Fu mandato lo stesso a battere un penalty e lo sbagliò tra lo sconforto generale. E in campionato le cose andarono discretamente male, con una salvezza piuttosto sofferta alla penultima di campionato. No, la storicità della breve gestione berselliniana sta nell’essere stato l’unico tecnico al mondo che sia riuscito a mandare in campo contemporaneamente in gare ufficiali Antognoni e Baggio. Lo avrebbe potuto e voluto fare molto di più se il più giovane non fosse ricaduto in uno dei suoi infortuni dopo la seconda di campionato per essere poi «salvato» dall’intuizione di Baretti che lo affidò alle cure del professor Vittori, il demiurgo di Mennea.
Era quella una Fiorentina molto strana, un impasto tra giovani e anziani in cui convivevano con una certa difficoltà ex campioni del mondo come Antognoni, Gentile, Oriali e ragazzi di belle speranze come Berti, Onorati, Carobbi e l’esordiente Landucci. Mancò soprattutto la continuità, nonostante il grande impegno di Bersellini che fece di tutto per guadagnarsi la riconferma su quella panchina trovata un po’ per caso. I risultati migliori arrivarono invece fuori dal campo, nel senso dell’integrazione con il variegato e non proprio facilmente accessibile mondo fiorentino.
Passate le prime settimane in cui il buon Eugenio non si capacitava del corrosivo sarcasmo che si respirava nelle piazze cittadine dove si parlava di calcio (in pratica ovunque), le cose migliorarono al punto tale che poi è rimasto a vivere qui con la sua famiglia. E ad ogni stagione che passava i tifosi si dimenticavano di quel campionato così grigio. I funerali si terranno domani alle 16, nella cattedrale di Prato.