Un combattente del teatro (per tre generazioni)
L’addio al regista Roberto Guicciardini, il ricordo del nipote
«La lotta per il teatro è qualcosa di molto più importante di una questione estetica». Una frase-manifesto. Anzi la frase iniziale «del manifesto» per un «Nuovo Teatro». Idea, proposito e firma in calce delle migliori menti di un’intera generazione che ha fatto la rivoluzione. Anche se solo sul palcoscenico. Fondamentale anche perché è stata «l’ultima rivoluzione» del teatro: il Manifesto di Ivrea del 1967, altrimenti detto «il Sessantotto del teatro». Tra quei nomi altisonanti che in una manciata di giorni modificarono drasticamente approccio e filosofia del teatro italiano, come Corrado Augias, Giuseppe Bartolucci, Marco Bellocchio, Carmelo Bene, Liliana Cavani, e poi anche Luca Ronconi, Giuliano Scabia e Dario Fo, c’era anche Roberto Guicciardini. Discendente di Francesco Guicciardini, fiorentino doc, alfiere e capostipite di un’importante genia di registi teatrali.
Roberto Guicciardini si è spento sabato scorso nella sua abitazione di San Gimignano a 84 anni. Si era ritirato là dove, insieme al figlio Tuccio, aveva creato nel 2013 il festival «Orizzonti Verticali», pensato appunto per rinverdire i fasti della sua rivoluzione giovanile. Lascia tre figli e la moglie.
Sempre a San Gimignano, nella chiesa di Sant’Agostino, ieri si sono svolti i funerali. La salma è stata poi tumulata nella cappella di famiglia nel cimitero di Soffiano a Firenze.
Guicciardini non ha raggiunto la fama di altri grandi toscani come Massimo Castri e Luca Ronconi, ma ha segnato il teatro della seconda metà del No- vecento in modo indelebile: già dagli inizi fondando nel 1969 la compagnia Gruppo della Rocca, una delle prime cooperative teatrali, innovativa, sperimentale, e soprattutto «civile» e di impegno. Con la Rocca ha portato in scena La Clizia di Machiavelli Perelà uomo di fumo dal romanzo di Aldo Palazzeschi, Viaggio controverso di Candido e altri negli arcipelaghi della ragione da Voltaire, tantissime pagine di classici ma anche molto di contemporaneo come Brecht, Muller e Meyer. Ha lavorato Vienna, Zurigo, Darmstadt, Graz, Berlino.
«L’assenza di un passaggio di testimone naturale da una generazione all’altra è uno dei problemi della maturazione dei giovani artisti — sosteneva il figlio Tuccio riferendosi a Orizzonti Verticali, festival con cui intendeva rendere omaggio al padre e maestro — Questo passaggio è però fondamentale per il mantenimento in vita di una professione che si sta lentamente perdendo». Lo ha ricordato il nipote Niccolò, terza generazione di teatranti, con un lungo e commovente post su Facebook dal sapore di romanzo di formazione condensato accompagnato di questa «vecchia foto che ho da sempre in camera». Roberto Guicciardini, nei ricordi del nipote, era simile al «suo» Candido voltairiano. «Non ti fermavi davanti a niente e non davi niente per scontato — scrive — La tua curiosità era sempre viva. Ogni cosa che incontravi aveva dignità». E gli mancheranno le sue «parole giuste: mai definitive, mai di intimazione, ma capaci di essere incisive».