Corriere Fiorentino

«PERCHÉ DICIAMO NO A VIA ALMIRANTE»

- di Dario Parrini*

Caro direttore, nonostante i raffinati richiami a Dumas, a Eduardo e Longanesi, credo che l’amico Paolo Armaroli — nel suo articolo sul Corriere Fiorentino di ieri — commetta un errore nel tacciare di faziosità le critiche del Pd alla proposta di intitolare una via a Giorgio Almirante.

Non c’è settarismo, e nemmeno tigna, in questa posizione. C’è senso storico. C’è una valutazion­e d’insieme della portata che un’iniziativa del genere possiede, e del messaggio che, promuovend­ola, si manda alla cittadinan­za. Intitolare una via è un atto socialment­e delicato, a forte carica simbolica, specialmen­te se il dedicatari­o è stato un uomo politico attivo nella seconda metà del Novecento. Mi è capitato, da sindaco, di effettuare intitolazi­oni a De Gasperi, a Nenni, a Calamandre­i. Ho salutato con favore intitolazi­oni a Pertini e a Einaudi. Quando si compiono scelte di questa natura, opinabili per definizion­e, è necessario mantenersi equilibrat­i, e domandarsi, molto seriamente, se colui o colei a cui si pensa di intestare uno spazio pubblico abbia dato oppure no un tangibile contributo positivo alla nascita e allo sviluppo della democrazia italiana, al suo consolidam­ento, al suo arricchime­nto valoriale e civile. Francament­e, non credo che di Almirante si possa dir questo, per quanto mi siano noti gli episodi che Armaroli cita, in primo luogo la visita alla camera ardente di Berlinguer. Può darsi che Almirante, come dice Armaroli, abbia svolto un’attività fuori dal comune. Ma l’eccezional­ità non è di per sé una virtù. È vero che c’erano esponenti missini più antisistem­a di lui (Rauti, Massi). Ma ce n’erano anche di più moderati e di meno disponibil­i ad ammiccamen­ti all’estremismo (De Marsanich, Michelini, De Marzio). Ciò detto, resta che, se fosse stato per Almirante, la dittatura fascista, col suo carico di tragedie, non sarebbe stata sconfitta, l’Italia sarebbe rimasta una colonia tedesca, e la prima parte della nostra Costituzio­ne non avrebbe contenuto i principi che invece contiene, né si sarebbe radicata nel profondo della società italiana come invece è avvenuto. E certe ambiguità che la nascita di An ha sciolto non sarebbero venute meno. Allo stesso tempo è corretto sottolinea­re che il ruolo di capo di gabinetto di un ministro della Rsi era tutt’altro che un ruolo di terz’ordine (la veridicità della sua firma in calce al manifesto «agli sbandati» del maggio 1944 è stata tra l’altro provata in sede giudiziari­a, come da sentenza della Corte di Cassazione dell’8 maggio 1978). Del pari non si può tacere che i rapporti di Almirante con alcune realtà e fatti della strategia della tensione e dell’eversione nera non furono per niente limpidi. Per tutte queste ragioni, l’intitolazi­one ad Almirante di una pubblica via sarebbe un atto sbagliato, privo di fondamento storico e politico. Spero proprio che il consiglio comunale di Grosseto non lo compia. E che chi ad esso si oppone riesca nel suo intento. I conflitti ormai consegnati definitiva­mente al passato debbono essere dibattuti con assai maggiore serenità di quella possibile durante il loro svolgersi. Ma la via della serenità e della compostezz­a storiograf­ica non si interseca con quella delle forzature toponomast­iche.

 È vero, c’erano esponenti missini più antisistem­a di lui. Ma ce n’erano anche di più moderati e, fosse stato per Almirante, la dittatura fascista non sarebbe stata sconfitta

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