«Abbiamo visto i buchi neri» Il filo che lega Einstein al super tubo
«Sì, abbiamo visto i buchi neri». Ai ricercatori dell’Osservatorio gravitazionale europeo di Navacchio gli occhi brillano come chi ha toccato un sogno cullato una vita intera. Hanno voglia di condividere un successo epocale e per farsi capire spostano bicchieri di plastica o mazzi di chiavi sul tavolo, fanno gesti con le mani per descrivere le perturbazioni spazio-temporali.
Hanno visto i buchi neri — spiegano — acchiappando i loro messaggeri, quelle onde gravitazionali teorizzate cento anni fa. E hanno vinto la loro scommessa con Albert Einstein. Il grande fisico tedesco, raccontano, «le onde le aveva teorizzate, poi le aveva smentite, infine era arrivato alla conclusione che esistessero, ma che non sarebbero mai state rivelate perché il loro effetto è ridicolmente piccolo». La sfida è stata vinta con i bracci dell’interferometro, lunghi tre chilometri, che hanno fatto da moltiplicatore delle flebili onde.
«Le variazioni che registriamo hanno l’ampiezza di un millesimo di un protone — spiegano — parlando in millimetri è come uno zero virgola e altri diciassette zero dietro». Ma che cosa sono le onde gravitazionali? Sono delle perturbazioni, delle curvature dello spazio-tempo. Al passaggio di un’onda, le distanze tra due oggetti si dilatano o si accorciano. Antonino Chiummo, uno dei ricercatori, fa il gesto con le braccia: «È come se un cerchio prima si schiaccia come un’ellisse e poi ritorna indietro e si allunga nell’altra direzione — dice — ma badate bene, per noi le distanze fisiche restano le stesse, la curvatura riguarda la luce».
Le onde rilevate scaturiscono dallo scontro di due buchi neri e vengono «accelerate a velocità spaventose, con un’energia eccezionale». Quelle registrate per la prima volta a Navacchio, il 14 agosto scorso, pur arrivando affievolite da un miliardo e 800 milioni di anni luce di distanza, sono ancora più forti di quelle (le prime rilevate nella storia) captate negli Stati Uniti due anni fa. Malgrado la distanza, se invece di due buchi neri a cozzare fossero state due stelle con la stessa energia, la luce sarebbe stata più forte del bagliore della luna piena. Di fatto, le variazioni registrate nell’interferometro sono le prime «immagini dirette» dei buchi neri che fino ad ora erano stati solo teorizzati. Le implicazioni scientifiche di questa scoperta? «Enormi», dicono in coro nella sala controllo di Virgo. Per tutte le branche di ricerca dell’astrofisica «siamo di fronte a una rivoluzione — afferma il ricercatore Alessio Rocchi — chi studia come esplodono le stelle, le cosiddette supernove, grazie alle onde gravitazionali potrà fare dei passi da gigante». Quanto alle applicazioni pratiche più immediate, sono invece le tecnologie sperimentate a Navacchio a poter diventare lo spunto per strumenti di uso comune: i laser di potenza vengono usati per la cura dei tumori, o per gli interventi chirurgici agli occhi, e tutti gli avanzamenti arrivano dalle applicazioni astrofisiche.
A Navacchio, inoltre, la scoperta è l’occasione per inseguire un nuovo sogno: un rilevatore di onde lanciato nello spazio. «Altro che i tre chilometri dei bracci di Virgo — spiegano — con un sistema di satelliti piazzati a milioni di chilometri di distanza la luce potrebbe rimbalzare tra l’uno e l’altro e captare un’infinità di perturbazioni in più». E forse un sogno non è: il primo satellite, Pathfinder, è già in orbita, lanciato dalla Guyana francese a novembre di un anno fa.
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