Una stradina, il cartello bianco: «Benvenuti a Virgo»
Il centro di eccellenza è a Navacchio, vicino alla FiPiLi: «Anche un camion può interferire»
Lungo la strada che porta da Collesalvetti a Pisa, spunta un piccolo cartello bianco: «Virgo Ego». La stradina in mezzo ai campi è asfaltata, ma è strettissima, piena di buche e di toppe. Sullo sfondo case coloniche. La prima impressione è che da qua si vada verso la casa di un contadino che vende uova o il formaggio.
Ma dietro un panettone di terra, spunta un complesso di sette strutture modernissime, con davanti il cancello, le sbarre, la vigilanza. A Navacchio, in mezzo ai campi, c’è una piccola Nasa. Una versione che non porta l’uomo sulla Luna, ma lo trascina oltre un miliardo di anni luce dalla Terra alla ricerca dei buchi neri. Il lavoro dei duecento ricercatori italiani, olandesi, francesi, polacchi, russi e ungheresi, tra fisici, ingegneri, informatici, ruota attorno alla control room, una sala da 29 schermi in cui scorrono tutti i dati che arrivano dall’interferometro, il vero rilevatore delle onde gravitazionali. È il protagonista, un cubo con due bracci lunghi tre chilometri: un laser, un gioco di specchi riflettenti e i due lunghi tunnel che si estendono in mezzo ai campi. I due bracci di tre chilometri sono colorati di azzurro, spiegano a Virgo Ego, per diminuire l’impatto visivo: invece di scegliere il verde dell’erba, hanno preferito confonderli con il cielo. Il progetto nasce nel 1989 dalla mente di Adalberto Giazotto, dell’istituto nazionale di fisica nucleare di Pisa, e di Alain Brillet, del centro nazionale della ricerca di scientifica di Parigi. Di Navacchio, Giazotto — che per problemi di salute non si è potuto godere la festa — è il padre fondatore, il suo nome è sulla bocca di tutti, anche dei giovani ricercatori che non l’hanno conosciuto di persona. Ci vogliono 14 anni e 78 milioni di euro per completare il sogno, che viene inaugurato nel 2003. Poi 10 milioni euro all’anno per finanziare le attività, finanziate dall’Infn e dal Cnrs, perché se l’interferometro rileva i dati, qui il grosso del lavoro è calibrarlo, evitare che una piccola scossa tellurica o un camion sulla Fi-Pi-Li vadano a influenzare i dati.
Lo chiamano «rumore», a Navacchio è il nemico. Poi, gli stessi specchi vanno tarati con dei magneti ad altissima precisione, perché la luce non si diffonda, perché il raggio laser viaggi dritto avanti e indietro nei due bracci. Ognuno è specialista nel suo piccolo ambito. Come Antonino Chiummo, l’acchiappatore di luce. O come Giuseppe Di Biase, che in quanto informatico non avrà «vinto» il Nobel, ma sa che «senza i nostri dati, i fisici non farebbero niente». Una messa a punto continua. Delicatissima. Così, per veder attivata Virgo, bisogna attendere il 2007. E, ancora, l’ultima vite di Advanced Virgo, la macchina di seconda generazione attivata a Navacchio, quella che ha finalmente visto le onde e i buchi neri, è stata avvitata esattamente un anno fa.