Corriere Fiorentino

Firenze non balla con Simone

La Forti, maestra della danza postmodern­a, è celebrata nel mondo e nei grandi musei Manca ancora l’omaggio della città dove nacque e da cui la sua famiglia scappò dopo le leggi razziali

- Luca Scarlini

vicino a Vaiano. Furono inoltre i maggiori committent­i e collezioni­sti di

Simone Forti, maestra della danza postmodern­a, è stata celebrata di recente a Milano, al Museo del Novecento, in un progetto della Fondazione Furla, dal titolo allusivo: To play the Flute. In trentacinq­ue minuti sono state presentate alcune opere storiche, eseguite da una interprete che a lungo ha lavorato con la creatrice, la parigina Claire Filmon, direttrice della compagnia Asphodèle Danse Envol, che anima quattro brani rappresent­ati in tutto il mondo, dirigendo giovani danzatori: Huddle, Sleepwalke­rs, Censor e Cloths.

La signora della performanc­e, celebrata ovunque ma stranament­e non nella sua città d’origine, è nata a Firenze, nel 1935, da una famiglia ebraica. La madre si chiamava Milka Greunstein, e il padre Mario Forti: quel nome rimanda a esperienze di arte e industria che hanno avuto un peso rilevante nelle vicende toscane del ‘900. La famiglia fu infatti responsabi­le della creazione dell’importante villaggio industrial­e de La Briglia, vicino a Vaiano (dove nel 2014 è stato realizzato un convegno dedicato a questa storia, con gli interventi tra gli altri di Silvia Sorri e Dora Liscia Bemporad). In seguito i Forti comprarono la Villa del Palco, che in precedenza era un convento: qui nascosero il tesoro di oggetti rituali della sinagoga di Firenze. L’edificio, da poco restaurato, venne poi riacquisit­o dalla curia pratese negli anni ’50. I Forti hanno un posto di riguardo anche nelle cronache culturali: furono infatti i maggiori committent­i e collezioni­sti di Giorgio De Chirico nell’Italia tra le due guerre. Matilde, la zia di Simone, moglie dell’illustre storico dell’arte Giorgio Castelfran­co, resta in un intenso ritratto, dipinto nel 1921 da De A Milano Di recente la Fondazione Furla ha reso omaggio all’artista con il progetto «To Play the Flute» (nella foto: «Sleep Walkers/Zoo Mantras») Chirico, che è conservato nella Casa Museo Rodolfo Siviero (un tempo appartenut­a ai Castelfran­co) in Lungarno Serristori, ma la maggior parte delle opere di una collezione importante vennero vendute, per finanziare l’emigrazion­e verso gli Stati Uniti, dopo che lo studioso era stato allontanat­o dal suo posto come direttore di Palazzo Pitti, al momento della visita di Hitler, che segnò una drastica epurazione delle figure ebraiche nel mondo culturale fiorentino.

Simone Forti fa parte di questo mondo, poi disperso nell’emigrazion­e al momento delle leggi razziali fasciste. Con i genitori e la sorella maggiore Anna, anche lei lasciò fortunosam­ente le rive dell’Arno nel 1938 alla volta della Svizzera. Poi ci furono sei mesi a Berna, dove la madre cadde gravemente ammalata, poi, Matilde Forti Castelfran­co, zia di Simone, in un ritratto di Giorgio De Chirico conservato nella Casa Museo Rodolfo Siviero in Lungarno Serristori dopo le cure, un itinerario clandestin­o in Francia, assai pericoloso, alla volta del porto di Le Havre, e infine un approdo sicuro negli Stati Uniti, a Los Angeles, dove la danza fu da subito nel suo oroscopo. Ma non solo quella: nell’attività dell’artista, che oggi ha ottantadue anni, è sempre stata altrettant­a l’energia dedicata a scrivere, analizzare, insegnare, disegnare, creare installazi­oni, codificare la presenza del corpo come strumento principe di espression­e. Dopo gli anni formativi sotto la guida di Anna Halprin, a San Francisco, che la guidò sui sentieri dell’improvvisa­zione, a partire da una relazione di contatto fortissima con il mondo naturale (come racconta nel suo classico e sempre gettonato volume di teoria e memorie Handbook in Motion, uscito nel 1974 con nu- merosi aggiorname­nti seguenti, da noi tradotto solo parzialmen­te nel volume Donna è ballo del 1980) il suo destino è stato, da subito, negli spazi dell’avanguardi­a. Nel 1961 si esibisce a New York nel loft di Yoko Ono, in una serie di eventi curati da La Monte Young, mostrando le sue capitali Dance Costructio­ns, riflession­i coreografi­che sull’essenza del gesto, presentate in tutto il mondo. Nel lavoro avevano influito le ricerche sulla creatività improvvisa­tiva di John Cage e Merce Cunningham, come anche l’attività come educatrice infantile in una scuola materna, attività gestita per qualche anno in parallelo con quella della creazione.

Lo spazio dinamico di Fluxus, con cui Simone spesso si incrocia, ritrova un filo con Firenze negli scambi con Giuseppe Chiari, partecipe al movimento dalle sue primissime stagioni. Il gesto, nella sua natura prima, senza sovrastrut­tura intellettu­ale, è quello che torna, nitido, in creazioni come Huddle, in cui gli interpreti si afferrano e tengono stretti, agendo come un tutto unico e dovendo trovare il modo. In Sleep Walkers il lavoro nasce dall’osservazio­ne degli animali allo zoo di Roma, e si sviluppa, in collaboraz­ione con la Galleria l’Attico di Fabio Sargentini, nel corso di una residenza nella capitale nel 1967. Stanze, luoghi d’arte, musei sono stati il teatro delle sue moltissime apparizion­i, in cui ha spesso incrociato il destino di giovani talenti destinati a futuri grandi successi, come Trisha Brown e Steve Paxton. Le sue opere sono nelle collezioni permanenti di molti musei: Moma e Whitney a New York, Stedelijk a Amsterdam, Moderna Museet a Stoccolma.

A Firenze i suoi spettacoli si sono visti in occasioni molto rare e lontanissi­me nel tempo: nessuna sua opera è nelle collezioni cittadine. Sarebbe proprio il momento di rimediare a questa lacuna e riportare l’artista nella sua città d’origine, una città che, come dichiarò in una intervista, «ogni tanto compare nei miei sogni».

Colmare una lacuna Nessuna sua opera è nelle collezioni cittadine, gli spettacoli si sono visti in rare occasioni È arrivato il momento di rimediare

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