«Ho buttato via soldi e affetti, oggi sono rinato»
«Se non mi fossi fermato in tempo, probabilmente avrei rischiato di uccidermi». Francesco oggi ha 42 anni. Ha cominciato a giocare all’età di 14. Prima il poker con gli amici, nelle stanze fumose dei bar livornesi, poi l’ippodromo e le corse dei cavalli. «A 16 anni già lavoravo. In pausa pranzo mi precipitavo all’ippodromo per scommettere. E quando nel pomeriggio staccavo, ritornavo lì fino a tarda sera». A 21 anni Francesco si sposa e diventa padre: «Un’assunzione di responsabilità che, per qualche anno, mi ha permesso di stare lontano dal gioco». Poi i problemi in famiglia e la schiavitù che torna: «Avevo 25 anni, le prime slot machine e videopoker stavano comparendo nei bar, giocavo ogni sera, fino a tarda notte. Mi giocavo tutto lo stipendio e anche di più. Utilizzavo scuse per farmi prestare soldi dagli amici, dai suoceri, dai rappresentanti che incontravo negli ambienti di lavoro. Oltre 100 mila euro di debiti che non ho mai restituito. I debitori mi chiamavano in continuazione, la vita era diventata un inferno, ma io volevo continuare a giocare, continuavo a dire bugie agli altri, era più forte di me, il gioco era un bisogno irrefrenabile, una debolezza che non riuscivo a dominare». Francesco così lascia il lavoro, fugge e si rifugia a casa di un’amica, litiga coi genitori, divorzia con la moglie, litiga col figlio. Non parla più con loro da molti anni: «Il gioco ha distrutto me e i miei affetti». Se oggi ha smesso il merito è soprattutto di Orthos, la prima comunità residenziale in Italia per dipendenti da gioco d’azzardo, un podere tra i vigneti e gli uliveti della campagna senese, dove i giocatori si trasferiscono per alcune settimane, aiutati da un team di psicologi. «Vivo qui da un anno e mezzo e la mia vita sta finalmente cambiando. Sono diventato uno dei responsabili della struttura, faccio l’orto, faccio da mangiare agli ospiti, faccio la manutenzione. Gestisco pacchi di soldi, ma non sento più l’esigenza di giocarmeli. Se sono ancora vivo, devo tutto a questa comunità».
Mi sono dovuto nascondere per fuggire dai creditori Poi per fortuna sono entrato in comunità