Renzi e l’arte di litigare (rottamare è più difficile)
Pippo Civati. Lapo Pistelli. Pier Luigi Bersani. Enrico Letta. Silvio Berlusconi. Carlo Calenda. Giuliano da Empoli. Giorgio Gori. Matteo Richetti. Massimo D’Alema. Graziano Delrio. Filippo Taddei. Romano Prodi. Arturo Parisi. Dario Franceschini. Walter Veltroni. Giorgio Napolitano. Pietro Grasso. In questo elenco (un compendio, diciamo, la lista completa sarebbe più lunga) ci sono nomi di persone con cui Matteo Renzi ha litigato negli ultimi anni. Alcuni li ha (più o meno) recuperati, vedi Gori, Richetti e da Empoli, altri sono perduti irrimediabilmente. I soliti turborenziani, quelli ben felici di andare «avanti da soli», diranno di non aver perso niente e che tutto sommato si sta più larghi. Sono gli stessi che venerdì accusavano Pietro Grasso, presidente del Senato, di ruberie politiche. «Il grosso Grasso divorzio dal Pd. Un film già visto. Come Prendi i soldi e scappa», ha twittato Patrizia Prestipino, feudataria dell’Eur a Roma, amica di Maria Elena Boschi (la sottosegretaria alla presidenza del Consiglio è stata eletta nell’assemblea nazionale del Pd all’Eur grazie ai voti di Prestipino). Sarà probabilmente troppo tardi quando gli scudieri del segretario del Pd, o anche gli scudieri degli scudieri e i sottoscudieri dei sottoscudieri, capiranno che il dileggio nei confronti dell’avversario, soprattutto se è la seconda carica dello Stato, è controproducente. Nell’elenco iniziale manca Paolo Gentiloni. È, a quanto sembra dagli ultimi eventi, una mancanza provvisoria. Era inevitabile, con una campagna elettorale alle porte, e alla fine è accaduto. Le strade del presidente del Consiglio Gentiloni e quelle del presidente del Consiglio ombra Renzi divergono, si fanno distanti, rischiano di provocare però qualche pasticcio in più di quelli fisiologici. La vicenda di Bankitalia si è risolta con una vittoria di Gentiloni, che è riuscito a imporre la conferma di Ignazio Visco, ma Renzi è riuscito a far passare la legge elettorale RosatoFiano imponendo al governo di mettere in complesso 8 voti di fiducia. Costringendolo dunque a intervenire direttamente su una materia parlamentare. La rappresaglia contro Gentiloni non s’è fatta attendere: venerdì, al Consiglio dei ministri che ha confermato il governatore, mancavano i ministri renziani: Lotti, Delrio, Boschi, Martina. Due di loro, Delrio e Boschi, si sono dati malati. Sarà vero o si è sfiorato il livello Blues Brothers delle giustificazioni («Le cavallette!»)?
Il duello interno al governo sembra essere appena cominciato. Renzi d’altronde non può accontentarsi, la campagna elettorale appena ricominciata (ma quando mai è finita?, si dirà) sarà impegnativa e l’ex sindaco di Firenze sembra più in difficoltà del solito nel tracciare una rotta convincente. Qual è oggi l’identità di Renzi? Non si sa, infatti è costretto a rifugiarsi in pericolose velleità antipolitiche e antisistema. Dai vitalizi a Bankitalia. Resta da capire, naturalmente, quanto può essere credibile a fronte di chi il populista lo fa da anni. E resta da capire quanti danni può causare allo stesso Pd duellare con il governo Gentiloni. La radicalizzazione di Renzi, che ormai litiga anche con gli uscieri, riusciamo a spiegarla solo così: ha capito che tornare a Palazzo Chigi il prossimo anno è estremamente complicato, che il 40 per cento del Pd del 2014 è sufficientemente lontano e che l’unico modo per non disperdersi come lacrime nella pioggia è avere un nucleo iperfedele di classe dirigente nel Pd (ancora di più di quella di adesso) e di elettorato, perché le nicchie, anche numerose, funzionano nell’editoria, nell’industria e anche in politica. Certo è che siamo ben lontani da ciò che abbiamo visto in questi anni, quando il Renzi che non s’è mai accontentato di fare il capocorrente era forte nell’uno contro tutti perché aveva usato la «rottamazione» come grimaldello politico-culturale. Il problema delle saghe cinematografiche è mantenere alto il livello, altrimenti fai come Matrix. Nel caso della politica bisogna aggiungere che i contesti mutano e adattarsi è complicato ma essenziale. Renzi si era inventato una formula e un manifesto di successo, ora rischia di dare ragione a chi diceva che il suo peggior nemico è se stesso.
L’ex premier ha radicalizzato le sue posizioni perché ha capito che sarà difficile tornare a Palazzo Chigi e che l’unico modo per non perdersi è avere un nucleo di fedelissimi e una nicchia di elettorato