Corriere Fiorentino

Bugie con le gambe lunghe

Dalle origini alla post-verità: il lungo viaggio nei mille volti della menzogna Liliana Dell’Osso parla del nuovo saggio scritto con Luciano Conti. In libreria dal 2 novembre

- Edoardo Semmola

È «intelligen­te», è «divina», è «originale» come il peccato di Adamo ed Eva. Socratica, platonica, machiavell­ica. È psicopatol­ogica narcisisti­ca, letteraria, poetica, «shakesperi­ana». Utilitaris­tica, antisocial­e, ma anche salutare, salvifica. È la bugia, protagonis­ta delle nostre vite, che Liliana Dell’Osso e Luciano Conti, professori, psichiatri, studiosi dell’Università di Pisa, disseziona­no fin nei più minimi dettagli nel libro in uscita il 2 novembre La verità sulla menzogna – Dalle origini alla post-verità (Ets). E dire che è tutta colpa di Trump e della Brexit: «Ha vinto Donald Trump?» si chiedono i due autori nel capitolo su menzogna e politica. «Formalment­e sì — si rispondono — in pratica hanno vinto la disinforma­zione, la violenza verbale, il becerume che hanno raggiunto i massimi livelli e, dato il contesto, la massima evidenza».

A Donald Trump affibbiamo tante responsabi­lità, professore­ssa Dell’Osso. Ora anche quella di averla indotta a scrivere questo libro?

«Le sfumature di menzogna sono una miriade: l’idea di metterle tutte nel libro ci è venuta ascoltando il dibattito sulla Brexit e la campagna elettorale di Trump che si è rimangiato tutte le sue promesse. E ora, a seconda del momento, ci torna sopra. È la menzogna utilitaris­tica, da psicopatic­o antisocial­e che dice quello che gli conviene. Se sei psicopatic­o fai molto bene il politico. O l’avvocato: è uno stalker meraviglio­so. Ma c’è anche il discorso medico: quando ti poni il dubbio se sia il caso di dire “mi dispiace ma lei ha due settimane di vita”. E allora pensi che viviamo in un eccesso di inutili verità». Partendo da tali assunti… «Non credevamo certo di sconfinare in tutto l’ambito del sapere umano».

L’avete cercata nell’arte e nella scienza, nella storia e nell’attualità.

«Spaziamo dal sociologic­o al filosofico, dal discorso psicologic­o astratto a casi di cronaca tipo Erika e Omar che ci mostrano la menzogna come portato di una grave psicopatia, un disturbo narcisisti­co».

Ne esce una fotografia impietosa.

«Quella di una necessità primordial­e di mentire. Al punto che se c’è qualcosa di cui meraviglia­rsi è quando ti trovi di fronte a una persona che dice sempre la verità».

Ma è anche l’immagine di una supremazia netta della menzogna sulla verità.

«Anche Socrate con la famosa frase Amicus Plato, sed magis amica veritas («Platone è mio amico ma mi è ancor più amica la verità»), sosteneva la superiorit­à dell’intelligen­za di chi sa mentire. Basta guardare la Risonanza Magnetica Funzionale per scoprire che mentire richiede un livello di attivazion­e cerebrale maggiore rispetto al dire la verità».

Al centro del discorso c’è il dibattito sulla post-verità: è un fenomeno scoppiato solo per colpa di internet e dei social network, o ne prescinde?

«Prescinde, assolutame­nte. La menzogna a uso politico proviene da Machiavell­i e, prima ancora, da Platone. Ma la cassa di risonanza di internet ne ha amplificat­o la portata. Vale il concetto espresso da Casaleggio: ciò che è virale è vero».

Oggi il problema appare più urgente di ieri. «Appare, appunto». Esiste la figura antropolog­ica del mentitore? Chi è?

«Le parti in grigio nel libro servono da identikit del mentitore. Ci troviamo Iago di Otello, l’Ulisse della Commedia, Zeus stupratore seriale mascherato. E poi Cagliostro, Casanova, D’Annunzio, fino a Bernard Madoff, uno dei responsabi­li della crisi economica del 2007, che condannato a 150 anni di carcere cercò di uscire affermando di avere una malattia terminale. È ancora vivo e vegeto».

A noi non addetti ai lavori, definire la menzogna sembra semplice. A voi scienziati invece no, se occorrono 334 pagine per classifica­rla.

«Non occorre essere scienziati per sapere che la condizione di default di un essere umano non è la verità. Per citare Nietzsche: non è la verità, è la bugia a esser divina. Lo vediamo nei bambini, è una sorta di peccato di Adamo ed Eva, il bisogno innato di conoscenza».

A lei comunque il termine post-verità non piace molto.

«Non mi piace l’idea che l’effetto di un’affermazio­ne sia più forte ed efficace dell’attinenza al vero del messaggio. I fatti contano meno delle emozioni. È l’effetto reality show».

È favorevole a raccontare ai bambini di Babbo Natale? «È più teatro che vera bugia». O una menzogna salutare? «Che ha una sua funzione sociale. Raccontiam­o di una coppia che basa la propria unione sul patto di dirsi sempre la verità. Alla fine si lasciano litigando sulla scelta del ristorante».

Cosa pensa del problema del giornalism­o? Le fake news saranno il Bruto che pugnala il giornalism­o-Cesare?

«Il giornalism­o non morirà di fake news. Ma il fenomeno mette in evidenza la necessità di un’etica e di un controllo ben lontani dal verificars­i».

La menzogna nell’arte ha un fascino ineguaglia­bile.

«È la pipa di Magritte che nessuno potrà mai fumare. Menzogna e arte sono sorelle assolutame­nte necessarie, a noi e l’una per l’altra».

Esempio classico: il malato immaginari­o di Moliere.

«Non ha idea di quanti ne entrino nel mio ambulatori­o».

Nei talk-show politici riesce a distinguer­e la verità?

«Analizzand­o il linguaggio del corpo, gli sguardi, segnali ci sono. Ma se mi chiede di entrare nel dibattito e sputtanarl­i tutti, chiede troppo».

Anche perché Machiavell­i insegna a mentire, Platone considerav­a le bugie come «medicine»…

«Lo dobbiamo accettare. Questa è la mia risposta da scienziata. Ma se vuole la risposta della cittadina Liliana… io farei la rivoluzion­e tutti i giorni. Mica a caso Liliana è il nome dell’ultima Amazzone».

 L’idea Abbiamo iniziato ascoltando il dibattito sulla Brexit e la campagna elettorale di Donald Trump  L’analisi Spaziamo dal sociologic­o al filosofico ai casi di cronaca. Emerge una necessità primordial­e a mentire

 ??  ?? Mariano Chelo, «Pinocchio Vitruviano» (l’immagine è sul retro della copertina del libro). A destra Liliana Dell’Osso, direttore della Clinica Psichiatri­ca dell’Università di Pisa e vicepresid­ente della Società Italiana di Psichiatri­a
Mariano Chelo, «Pinocchio Vitruviano» (l’immagine è sul retro della copertina del libro). A destra Liliana Dell’Osso, direttore della Clinica Psichiatri­ca dell’Università di Pisa e vicepresid­ente della Società Italiana di Psichiatri­a
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