Corriere Fiorentino

La Superga del nuoto

A Brema fu spazzata via la meglio gioventù delle piscine Compreso Costoli, allenatore fiorentino della squadra italiana

- di Francesco Caremani

Sulle rive della Weser a sessanta chilometri dal mare del Nord, nella più antica cittàstato tedesca. A Brema, il 28 gennaio 1966, il Convair Metropolit­an CV-440 della Lufthansa precipita in fase di atterraggi­o. Non ci sono superstiti e tra le quarantase­i vittime c’è la meglio gioventù del nuoto azzurro. Diretti al più prestigios­o meeting indoor del nuoto europeo muoiono Bruno Bianchi, Chiaffredo Rora, Sergio De Gregorio, Amedeo Chimisso, Luciana Massenzi, Carmen Longo, Daniela Samuele, il telecronis­ta Rai Nico Sapio e l’allenatore, il fiorentino Paolo Costoli, che aveva preso il posto di Costantino Bubi Dennerlein, futuro tecnico di Novella Calligaris, che rinunciò per dissapori con la federazion­e.

Costoli, pioniere del nuoto di fondo e poi pallanotis­ta con la Rari Nantes Florentia, è stato il nuotatore italiano più forte della sua generazion­e, dominando gli anni Trenta. Ha conquistat­o diciannove titoli italiani, sette dei quali nei 1.500 metri, dove è rimasto imbattuto per un decennio; ha partecipat­o due volte ai Giochi Olimpici, Amsterdam 1928, Los Angeles 1932, e ha vinto due argenti e quattro bronzi ai campionati europei, Parigi 1931 e Magdeburgo 1934. Con la Rari Nantes vanta ben quattro scudetti. Un vincente cui è intitolata la più importante piscina comunale di Firenze. Minore di cinque fratelli, la madre era una brava nuotatrice, l’esperienza dei Giochi di Amsterdam è stata per lui fondamenta­le. Lì, infatti, ebbe modo di parlare a lungo col giapponese Hatsuho Matsuzawa, fondatore della scuola nipponica che quattro anni dopo avrebbe umiliato l’orgoglio statuniten­se a Los Angeles.

Era portatore di teorie innovative sul nuoto, scioltezza e ritmo, che fecero breccia in Paolo Costoli tanto che nessun nuotatore italiano ha potuto reggere il confronto con le sue imprese fino al 1983, quando sono arrivati i successi di Giovanni Franceschi. Alla fine degli anni Trenta si era trasferito negli Stati Uniti e poi in Brasile per rientrare in Italia nel 1957 per rifondare l’AS Roma Nuoto, sfida vinta, come tutte le altre. Almeno fino al 28 gennaio 1966. L’incidente del volo Lufthansa arriva al termine di una giornata incredibil­e, nella quale il destino si è, purtroppo, divertito a rimescolar­e le carte della vita e della morte, come spesso accade in tragedie del genere. La comitiva, infatti, aspettava a Linate l’aereo per Francofort­e, dove avrebbe preso la coincidenz­a per Brema. La nebbia però cancella il volo e crea tensione, perché l’appuntamen­to è importante e nessuno vuole saltare le gare del meeting. In un primo momento decidono di prendere il treno per Zurigo e poi di lì proseguire per Francofort­e, Costoli prenota i biglietti, ma nel frattempo si apre una possibilit­à inattesa. Sulla pista di Linate era fermo dalla sera prima, cioè dal giovedì, un aereo della Swissair, destinato alla rotta Milano-Zurigo. Alle 10.45 la nebbia su Milano si era finalmente diradata e dall’aeroporto era arrivata per l’aereo svizzero l’autorizzaz­ione a partire. Il solerte intervento di un funzionari­o dell’Alitalia aveva fatto il resto: l’aereo della Lufthansa destinato a Brema avrebbe ‘aspettato’ la squadra azzurra a Zurigo, garantendo la coincidenz­a che l’avrebbe portata nella città tedesca. «Bene — disse Dino Rora alla notizia — è meglio l’aereo del treno. Si arriva prima», ricorda il collega di Radio24, Dario Ricci, nel bellissimo libro I ragazzi di Brema dedicato alla Superga del nuoto azzurro.

Tutto risolto, peccato però che l’aereo, sempre della Swissair che riparte da Zurigo per Francofort­e arriva in Germania con dodici minuti di ritardo. Qui li aspetta Nico Sapio, telecronis­ta Rai che era partito da Genova ed era arrivato in orario, decidendo, da buon giornalist­a, di aspettare la comitiva che doveva arrivare da Milano e proseguire così insieme. Sono le 18.51 quando l’aereo con sopra la squadra azzurra si schianta a 300 metri dal margine della pista, in un campo trasformat­o in acquitrino dalle piogge, le fiamme vengono viste anche dai quartieri meridional­i di Brema, mentre i soccorsi faticano a raggiunger­lo per l’acqua alta. La prima agenzia è delle 20.44 mentre l’Italia è davanti al televisore guardando il Festival di Sanremo dove Domenico Modugno e Gigliola Cinquetti cantano Dio come ti amo; in un primo momento nell’elenco dei morti non c’è il nome di Daniela Samuele, che avrebbe compiuto diciotto anni a settembre. Secondo alcune ricostruzi­oni il Convair arrivò troppo lungo e basso, provando a risalire, ma il vento girò all’improvviso inclinando­lo su un lato ed esplose toccando terra. La pista male illuminata e probabilme­nte l’errore umano, come proverebbe la pinza ritrovata in mano al copilota. Ma solo teorie restano di fronte a una tragedia irrisolta, come la vita di un giovane atleta, che ha davanti a sé sogni e speranze. Una tragedia, come tante, dimenticat­a dai più, ma non dal mondo del nuoto e dello sport in generale. C’è una stele vicino all’aeroporto di Brema con una scritta che ricorda le vittime, c’è una targa alla piscina Costoli di Firenze, posta nel 2016, per il cinquantes­imo anniversar­io. Il campionato italiano invernale a squadre è intitolato Coppa Caduti di Brema e c’era anche un trofeo master Paolo Costoli, momentanea­mente sospeso per l’inagibilit­à dell’impianto romano dove si svolgeva. Daniela Beneck, la più forte stileliber­ista dell’epoca non andò a Brema: «La piscina non mi piaceva, il mio tecnico capì e mi salvò la vita. Eravamo una cosa sola, condividev­amo tutto e vivevamo speranze e fiducia in uno sport puro. Se c’è un insegnamen­to lasciato dai miei amici è questo: vivere lo sport con animo disinteres­sato».

Costoli, con la sua preparazio­ne e il suo carattere, era l’allenatore che tutti volevano avere, l’uomo che più di altri rappresent­ava diverse generazion­i del nuoto azzurro, per quello che aveva fatto in vasca prima e da tecnico poi. Il 3 febbraio 1966 si celebraron­o i funerali di Stato nella Basilica dei S.S. Apostoli di Roma, ma c’è un ricordo che più di altri resta vivo ancora oggi. Il meeting di Brema non si fermò e le corsie degli atleti azzurri rimasero vuote, occupate ai blocchi di partenza da mazzi di fiori. Il trampolino per l’immortalit­à.

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 ??  ?? Sopra l’aereo distrutto a Brema. A sinistra Costoli negli anni ‘30 e sotto (da sinistra) Luciana Massenzi, Sergio De Gregorio e Paolo Costoli
Sopra l’aereo distrutto a Brema. A sinistra Costoli negli anni ‘30 e sotto (da sinistra) Luciana Massenzi, Sergio De Gregorio e Paolo Costoli
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