Richard Ginori in bilico E gli operai occupano
Sesto, in stallo l’acquisto dei terreni. E il museo attende ancora lo Stato
A poco meno di cinque anni dal fallimento e dall’acquisizione da parte del gruppo francese Kering, i lavoratori della Richard Ginori ritirano fuori dai cassetti bandiere, striscioni e fischietti per prepararsi a quello che definiscono «un autunno caldo, di lotta». E un primo assaggio della loro determinazione lo hanno dato ieri mattina quando, dopo aver deciso di scioperare per otto ore, hanno poi occupato la fabbrica per tutta la giornata.
«Sembra di essere tornati al 2013 — dicono gli operai in presidio davanti ai cancelli dello stabilimento di viale Giulio Cesare — Siamo di nuovo a fare i conti con l’incertezza del futuro». A preoccupare maggiormente è la totale mancanza di notizie sulla partita che riguarda l’acquisto dei terreni dopo il no di doBank, che ha ritenuto troppo bassa l’offerta presentata dal gruppo d’Oltralpe. «Il tempo sta per scadere — continuano lavoratori e sindacati — Kering attende una risposta entro il 31 dicembre 2017 dopodiché potrebbe accadere di tutto. Non possiamo far fallire un brand per qualche centinaio di migliaia di euro: Kering faccia uno sforzo e aumenti la sua proposta».
Ma i terreni non sono l’unica questione per cui ieri è andato in scena uno sciopero al quale hanno aderito tutti i 265 dipendenti della fabbrica: «Sul tavolo c’è anche il piano industriale che l’azienda non farà partire fino a quando non si sarà risolto tutto il resto». Attualmente Kering — che alle tre banche creditrici del fallimento Ginori Real Estate ha offerto una cifra tra i 5 e i 6 milioni di euro a fronte di una richiesta di almeno il triplo — a causa di questa incertezza e del mercato delle porcellane altalenante registra perdite che sfiorano i 10 milioni di euro l’anno. Ma, con uno stabilimento nuovo, efficiente e di proprietà, il gruppo francese potrebbe dare il via a quegli investimenti congelati da tre anni. «Siamo disposti a fare lo sciopero della fame e a occupare l’azienda all’infinito se la trattativa non si sblocca — avvertono Bernardo Marasco (Cgil), Giovanni Nencini (Cobas) e Mirko Zacchei (Cisl) — E attendiamo che il ministro Dario Franceschini mantenga quella promessa fatta in pompa magna a Firenze, durante il G7 della cultura, che prevedeva l’acquisto del museo Ginori da parte dello Stato entro l’estate. Vorremmo ricordargli che l’estate è passata da un bel po’…».
Nel piazzale della fabbrica, a sostenere le ragioni dei lavoratori, ieri c’erano anche il sindaco di Sesto, Lorenzo Falchi («La misura è colma, entro fine anno va trovata una soluzione») e il consigliere per il lavoro del governatore Rossi, Gianfranco Simoncini.
Ai dipendenti Ginori sono arrivati decine di messaggi di solidarietà: da Sinistra Italiana, dal Pd, da Confindustria Firenze ed anche dal Comune e dalla Città metropolitana di Firenze: «Tutti insieme — l’appello lanciato da Dario Nardella — dobbiamo dare una scossa potente a chi oggi è in grado di dare una soluzione definitiva a questa crisi per molti aspetti incomprensibile».
I sindacati «Non possiamo far fallire un brand come questo: Kering faccia uno sforzo in più»