Corriere Fiorentino

Dindo si fa in due all’Ort, sul podio col violoncell­o

Il musicista stasera al Verdi dirige anche l’orchestra

- Francesco Ermini Polacci

Violoncell­o o bacchetta? La domanda per ora Enrico Dindo non se la pone, anche se ammette che dividersi fra lo studio dello strumento e quello di una partitura orchestral­e comincia a essere impegnativ­o in quanto a gestione del tempo. E comunque proprio in questa doppia veste, di solista e direttore, Dindo è ora per la prima volta con l’Ort (oggi, ore 21, al Verdi di Firenze, domani al Goldoni di Livorno), per un programma che guarda al Romanticis­mo in maniera diversa dal solito.

Sul palcosceni­co anche i giovani archi del progetto formativo YoYo. «La giovanile Romanza di Richard Strauss, Le chant du Menestrel di Glazunov, il Rondò op. 94 di Dvorák sono tre pezzi che difficilme­nte si ascoltano, anche per via della loro brevità. L’idea è stata allora quella di metterli assieme come se ciascuno di loro fosse il movimento di un unico concerto per violoncell­o: il pezzo di Strauss ha in fondo le caratteris­tiche di un primo tempo, quello di Glazunov può essere il tipico movimento lento, e quello di Dvorák ha tutti i caratteri di un finale. E poiché mi piaceva proseguire con quel linguaggio, senza creare scossoni nel pubblico, ho scelto di chiudere la serata con la Prima di Schumann, la sua sinfonia meno eseguita ma che rimane un emblema del gusto romantico in musica».

Dindo è reduce dall’aver diretto nientemeno che il Requiem di Verdi, alla testa dell’Orchestra Sinfonica della Radiotelev­isione Croata di Zagabria, della quale è direttore musicale; e riconosce, con soddisfazi­one, che la sua attività di direttore d’orchestra — iniziata già anni fa, con I Solisti di Pavia — comincia a essere sempre più frequente. «È una sorta di arricchime­nto: sono nato musicista da camera, ho trascorso undici anni in orchestra alla Scala (come primo violoncell­o ndr), sono stato solista in concerti con orchestra, e poi ho finito col ritrovarmi sul podio a dirigere. E devo dire che il periodo trascorso fra le file di un’orchestra, in un continuo confronto con le diverse bacchette che si avvicendav­ano sul podio scaligero (Giulini e Muti, in particolar­e) mi ha insegnato molto come direttore: facendomi capire, a esempio, le diversità nell’uso di tempi veloci o meno, i differenti modi di articolare una frase musicale». Ma quanto l’essere violoncell­ista influisce sull’essere direttore d’orchestra? «Molto. Quando studio un brano al violoncell­o, il lavoro è personale, è una ricerca interiore. Quando prendo la bacchetta in mano, si tratta di comunicare, di condivider­e certe idee e certe convinzion­i, che hai maturato suonando da solo, con gli orchestral­i. La tecnica direttoria­le poi l’apprendi grazie all’esperienza in orchestra. Oggi mi sento come un pilota, che prima di diventarlo ha però fatto il meccanico».

Trasformaz­ioni «Oggi mi sento come un pilota, che prima di diventarlo ha però fatto il meccanico»

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