Il disastro di Belfast e la scuola per i mister (sogno del marchese)
Mettiamola così: è la prima volta che Coverciano non si qualifica per i Mondiali di calcio. Nel 1957, quando l’Italia fu eliminata nel girone di qualificazione e non partecipò alla Coppa Rimet in Svezia, il Centro Tecnico, casa, ufficio e laboratorio del nostro calcio, non era stato ancora inaugurato ufficialmente. Lo sarebbe stato il 6 novembre del 1958. La Coppa Rimet era il nome d’arte, se vogliamo definirlo così, dei Mondiali ed era intitolata al dirigente francese che nel 1930 aveva avuto l’idea — della quale ancora lo ringraziamo, nonostante l’eliminazione — di disputare un campionato del mondo di calcio. Prima edizione in Uruguay con la vittoria della squadra di casa, quattro a due in finale contro l’Argentina. La Coppa Rimet sarebbe andata a chi l’avesse vinta per tre volte, impresa riuscita al Brasile con il terzo successo del 1970. Ma questa è un’altra storia.
Torniamo a Coverciano che prende il nome della zona in cui «risiede», zona che a sua volta, secondo le enciclopedie, delle quali non dubitiamo, si chiama così per derivazione dal nome latino Cofercianus, in qualche modo risalente, forse, all’antico proprietario del fondo rustico, in epoca romana.
Nel 1957, quando l’Italia fu capace di compiere un’impresa negativa che sarebbe stata uguagliata soltanto nel 2017 da Ventura, maliziosamente corretto in Sventura, la mancata qualificazione ebbe risvolti un po’ tendenti al giallo e un po’ anche al vittimismo, specialità ben coltivata nel mondo del pallone nostro. L’Italia faceva parte di un girone che comprendeva il Portogallo e l’Irlanda del Nord. L’incontro, decisivo per la classifica, si doveva disputare il 4 dicembre del 1957, ma l’arbitro designato, l’ungherese Zsolt era rimasto bloccato all’aeroporto di Bruxelles da «sciocche pratiche burocratiche» e in seguito dalla nebbia. Gli irlandesi proposero il loro connazionale Mitchell come arbitro, gli italiani accettarono, ma solo a patto che la partita fosse considerata un’amichevole. E l’amichevole finì due a due. L’Italia aveva come ct Alfredo Foni, ottimo difensivista, a quei tempi si diceva catenacciaro, che aveva vinto due scudetti consecutivi con l’Inter prudente e contropiedista di Blason battitore libero — molto battitore asserivano i suoi denigratori — e di Gino Armano, la prima ala tornante del nostro calcio.
La partita amichevole con l’Irlanda del Nord finì due a due, ma non fu molto amichevole. Il forzuto centromediano juventino Ferrario fu colpito da alcuni invasori di campo, Chiappella venne espulso, il risultato di parità con cui si concluse il match non valeva nulla, ma la partita fu anche un’occasione per alzare i toni in previsione di quella vera, che si giocò nel gennaio del 1958 a Belfast. L’Italia si presentò con quattro oriundi: Ghiggia, Schiaffino, Montuori e Da Costa e per questo fu molto criticata dai giornali irlandesi. Perse per 2-1 e non andò ai Mondiali, vinti dal Brasile del giovanissimo Pelè e di Garrincha, in un primo momento esclusi dalla squadra titolare per via di certi test psicologici non brillantemente superati.
Leggendo il commento del mitico Vittorio Pozzo, trasformato da commissario unico azzurro in giornalista, non si notano molte differenze con gli opinionisti di oggi. Già dopo il 3-0 subito contro il Portogallo, Pozzo aveva sentenziato che la squadra «aveva toccato il fondo come modo di giocare». Dopo Belfast parlò di «una conferma chiara e palese della nostra debolezza di gioco, da fare sgranare tanto d’occhi».
Intanto Coverciano, il Centro tecnico voluto dal marchese Ridolfi, ex presidente della Fiorentina, cresceva di importanza con gli anni, fino a diventare, oltre che la casa degli azzurri, anche il fulcro di molte altre attività, a cominciare dal corso allenatori, che lo trasformarono nella capitale del calcio italiano, ovviamente non quello di club. E tra Coverciano e i fiorentini nasceva anche un ragguardevole rapporto di affettuoso distacco, nel senso che se c’era un posto in Italia dove la Nazionale poteva essere tranquilla di non essere disturbata, fino al limite di ignorarne la presenza, questo era il Centro Tecnico che intanto si allargava come la periferia in cui sorgeva. La Nazionale veniva quasi snobbata dalla cittadinanza, ma con un sentimento intimo — e mai o quasi mai manifestato — di sotterraneo piacere, derivato dalla non esibita consapevolezza di essere, fra le tante altre cose, anche la residenza ufficiale del calcio azzurro. Con il tempo Coverciano è diventato una diversa attrazione fiorentina, tanto da essere inserito negli itinerari delle gite scolastiche.
Continuerà l’Italia del calcio a prepararsi qui, anche quando la tempesta sarà passata e una nuova squadra nascerà, con un allenatore differente e forse anche con un presidente di altra estrazione e di altra generazione. Ed è molto probabile, nonostante la gradevole indifferenza dei fiorentini e del quartiere, che verranno ancora innalzati i teloni al confine con il viale Verga. Il primo a suggerirli ci sembra sia stato il sospettoso Conte, oggi molto rimpianto. Lo scopo? Evitare che occhi curiosi o interessati, occhi di «spie calcistiche» abbiano modo di scoprire le trame azzurre. Trame di gioco, è ovvio, nella speranza che le prossime siano all’altezza della situazione. Coverciano è sempre lì che aspetta. In Italia siamo tutti allenatori, ma quelli con il patentino sono circa 45 mila. Ce ne sarà, tra loro, uno da Nazionale?
Con Firenze il rapporto è di affettuoso distacco, un luogo tranquillo dove poter lavorare Negli anni i ct hanno imposto teloni verdi alle cancellate nonostante la gradevole indifferenza del quartiere