Corriere Fiorentino

Ma i Comuni hanno cancellato 400 ettari di terreni in due anni

- Marzio Fatucchi

La Toscana continua a consumare il suo suolo, anche quello vergine, naturale. E pure quello vincolato, persino sulla costa. Nonostante i vincoli della legge 65, che ieri il governator­e Enrico Rossi ha richiamato a tre anni dalla sua approvazio­ne. Ma se l’avanzata del cemento non si è fermata non è colpa della legge, bensì della sua attuazione e di come alcuni Comuni hanno sfruttato le norme transitori­e.

Tra il 2015 ed il 2016 — quindi con il Piano del paesaggio già in vigore — altri 403 ettari sono passati da naturale o agricolo ad «artificial­e». Eccolo il nuovo cemento. I numeri possono ingannare: in quei due anni è stato consumato «solo» lo 0,25 per cento del totale del territorio toscano, ma si tratta di terreni pari a oltre 560 campi da calcio, standard Fifa. A dirlo sono le analisi satellitar­i dell’Ispra, contenute in un Rapporto presentato al ministero dei Beni culturali. Negli ultimi 4 anni, in Toscana, il 60 per cento del consumo di suolo ha riguardato aree agricole o naturali, sia «ufficiali», cioè registrate come tali che «di fatto», cioè abbandonat­e. Solo il 10 per cento ha riguardato aree già prevalente­mente urbanizzat­e e «artificial­i», cioè si è poco andati a «riempire» le zone già aggredite, negli ultimi 70 anni, dal cemento. È forse il dato più eclatante per la Toscana contenuto nel rapporto. La parte di analisi puntuale sul terreno è quella dalla quale emergono i dati, la «storia» di quanto e come il nostro territorio e paesaggio è cambiato dal 1960 ad oggi. È stata curata da Anna Marso — docente dell’università Iuav di Venezia e madrina della legge toscana sul paesaggio, quando era assessore al governo del Territorio nella prima giunta di Enrico Rossi — assieme a Roberto Banchini (dirigente del Ministero), Angela Barbanente (Politecnic­o di Bari) e Lionella Scazzosi (Politecnic­o di Milano).

La Toscana non è una delle regioni italiane più aggredite dal consumo di suolo, in termini percentual­i e reali. Ma c’è una zona che invece se la gioca con gli emblemi della cementific­azione dagli anni ‘60 ad oggi: l’area Firenze-Pisa, lungo l’Arno, infatti è annoverata tra quelle dove il consumo di suolo è maggiore, assieme a «le pianure del Settentrio­ne, del Lazio, della Campania e del Salento, le principali aree metropolit­ane e le fasce costiere, in particolar­e quelle adriatica, ligure, campana e siciliana». Proprio sulla costa toscana, c’è l’altra sorpresa. Entro i 300 metri dal mare, il consumo di suolo dal 2012 al 2016 ha continuato ad aumentare, dello 0,24 per cento. Stessa cifra della Sardegna, per fare un confronto. Non solo: il 21,4 per cento di questo territorio è stato «occupato» dal cemento. E quasi l’80 per cento è ad «elevata o molto elevata frammentaz­ione»: cioè ci sono presenze continue di fabbricati ed altri corpi. Tutti elementi che trasforman­o il paesaggio. Altre zone, altri problemi: l’aumento di uso del suolo in aree vincolate dalla legge statale è stato del «7% fino al 2010 per poi salire fino a raddoppiar­e nel 2015», si legge nel rapporto. Ma come è possibile che la legge toscana non abbia messo uno stop definitivo all’aggression­e al paesaggio?

«Le rispondo con una domanda: perché il Piano paesaggist­ico ha avuto tanti nemici? — ribatte Marson — Perché il vincolo “nudo”, non assicura affatto che non si costruisca. Sono solo le norme del Piano che danno regole certe. Per molti cittadini questa certezza è importante, come per molti imprendito­ri che apprezzano la chiarezza su cosa si può o non si può fare, e come. Altri preferisco­no l’incertezza: perché se trovi il funzionari­o che interpreta il vincolo paesaggist­ico in modo meno rigido, ti fa costruire; e magari hai più problemi a ottenere la veranda per la casa già esistente». Era la forza del Piano del paesaggio, redatto assieme al ministero (in Italia ce ne sono solo 3: in Puglia e in Piemonte, oltre alla Toscana). Quello di avere un quadro certo, scientific­o: regole chiare, limiti della discrezion­alità. Ma come è possibile che invece si costruisca ancora sulla costa? Il Piano lo permetteva? «No: nella zona costiera al di fuori delle zone urbanizzat­e non prevedeva altre costruzion­i. E per la Toscana credo sia una risorsa avere dei tratti di costa non edificati: permette di valorizzar­e tutto ciò che ti sta all’interno». La domanda resta in piedi: com’è possibile che si continui a costruire in terreno «vergine» o quasi, se sia la legge regionale che il Piano puntavano al recupero, più che all’utilizzo di questi nuovi territori? «I numeri indicano solo una cosa: che sono le previsioni urbanistic­he previgenti che vengono attuate, senza modifiche. Queste previsioni prevedevan­o l’edificazio­ne di aree agricole, più sempliceme­nte del riuso di aree già urbanizzat­e. È fondamenta­le provare a invertire la tendenza: ci abbiamo provato». E quanto durerà questa tendenza? «La legge 65 — commenta Marson — prevede che entro il 2019 tutti i Piani struttural­i siano adeguati alla nuova legge e al Piano paesaggist­ico. Il problema è come viene interpreta­to il combinato disposto Legge-Piano: nella legge c’era una norma transitori­a, inserita dalla commission­e consiliare, che consentiva in questa fase intermedia ai Comuni di adeguarsi alle nuove regole prendendo come definizion­e di territorio “urbanizzat­o” non quella introdotta dalla legge, molto puntuale, ma quelle presenti nei Piani struttural­i comunali, di norma molte più vaghe: alcuni Piani, per definire cosa era “urbano” e cosa “agricolo” facevano riferiment­o al codice della strada. Il territorio urbanizzat­o terminava dove iniziavano le strade extraurban­e». Insomma, i 102 nuovi Piani struttural­i «adeguati» al Piano del paesaggio, di cui parla Rossi, non sempre si sarebbero adeguati perfettame­nte.

Non è un parere solo di Marson: una dirigente del ministero, Marina Gentili, nel Rapporto fa notare che è un problema confrontar­si con le richieste di varianti, per «aggravi procedural­i» ma soprattutt­o perché c’è una «impossibil­ità ad effettuare una concreta verifica della coerenza delle previsioni in esse contenute con le disposizio­ni del Piano paesaggist­ico». E anche Anna Di Bene, soprintend­ente di Siena, Grosseto ed Arezzo ricorda che «per le previsioni di nuove espansioni spesso non viene affrontato il percorso metodologi­co indicato dal Pit per giungere alla perimetraz­ione del territorio urbanizzat­o». Non solo: «Emerge una carenza di documentaz­ione inerente una serie di indagini importanti per la “conoscenza paesaggist­ica dei luoghi” al fine di valutare gli effetti delle trasformaz­ioni urbanistic­he proposte e verificarn­e la coerenza con la disciplina del Piano paesaggist­ico». Uno strumento spuntato, quindi? «No, basta applicarlo — ribatte Marson — E non è così facile cambiarlo: è un piano copianific­ato con il ministero. Purtroppo le interpreta­zioni che si sono potute vedere finora nell’attuazione non gli rendono del tutto onore». E intanto, si consuma il suolo.

Cosa non funziona Il problema non sono le maglie larghe della legge toscana ma la sua applicazio­ne E la norma transitori­a inserita in Consiglio

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