Negli occhi dei centenari
I gemelli di Pontremoli, il pittore viareggino che incontrò Picasso, lo scrittore pisano che ama Facebook In tutto sono cento e li racconta in un libro e in una mostra il fotografo Giuseppe Della Maria. «Incontri emozionanti»
La macchina del tempo esiste, è nei ricordi di cento centenari toscani, raccontati dalla sensibilità di Giuseppe Della Maria, autore del libro Ritratti di centenari toscani (Silvana editoriale) che verrà presentato domani alle 16, nella sala del Gonfalone di Palazzo del Pegaso a Firenze, e di una mostra fotografica che verrà inaugurata alle 17,30 allo Ied di via Bufalini. «Ho fatto un viaggio nel passato — dice l’autore — attraverso gli occhi di questi anziani, scoprendo il loro elisir di lunga vita; uomini e donne che portano addosso il peso di oltre cento anni, che sono stati bambini durante la prima guerra mondiale e soldati nella seconda, che hanno attraversato la rivoluzione industriale, passando dal telegrafo al cellulare. Tutto è nato dalla mia curiosità di capire come si arriva a cento anni e ne sono uscito arricchito e affascinato. Non puoi che rimanere estasiato dai loro racconti, intenerito dai loro gesti di anziani, stupito della loro lucidità, attonito davanti alla conoscenza di un mondo antico, delle sue regole, dei suoi usi e costumi».
Giuseppe Della Maria inizia la sua ricerca nel 2016 e trova in Toscana cento centenari in vita; ne contatta i parenti, li va a trovare e inizia ad intervistarli, riprendendoli con una telecamera, per non perdere nessun secondo delle loro storie e rendendoli poi fotomodelli, ritraendoli in cento fotografie. I centenari stanno lì, davanti ad un pannello nero che rappresenta per l’autore la linea di separazione tra la vita terrena e l’aldilà: «Loro sono al limite — spiega — in una specie di limbo da cui continuano ad osservarci, in attesa di passare altrove». I ritratti sono come delle istantanee della loro vita: «Li ho fotografati mentre rappresentavano ciò che avevano vissuto; se li vedete tristi è perché triste è stata la loro vita; se percepite serenità è perché hanno vissuto serenamente. Ho colto l’essenza del loro essere centenari oggi».
Cento storie, cento volti, come quelli di Innocente e Roberto Tozzi, gemelli, nati l’11 settembre del 1915 a Pontremoli, gli unici gemelli centenari in Italia. «La madre morì nei campi, sotto un trattore, quando avevano tre anni, mentre il padre era in guerra. Impararono fin da piccoli a conoscere sofferenza e miseria». «Il mangiare non ci è mai mancato — racconta l’autore riportando le parole dei due gemelli — ma di soldi ce ne erano pochi; non siamo mai andati al cinema, eravamo ragazzi di campagna, non signorotti di città; uscivamo soltanto per raggiungere i paesi vicini, la sera si suonava il violino e la fisarmonica e si ballava; poi la televisione ha disgregato le famiglie, ognuno stava a casa sua, non si facevano più feste». Innocente conobbe la moglie a scuola, Maria, e si sposarono il primo giugno del 1941: «C’era la guerra — ricorda — una guerra balorda; c’era il coprifuoco a Pontremoli, in Italia si combatteva tra fratelli, una vergogna, partigiani contro fascisti dello stesso sangue. Venivano a dormire a casa nostra, papà gli dava da mangiare e dormivano nel fieno». «Feci la campagna d’Africa — racconta Roberto — un soldato italiano valeva quanto tre tedeschi, il mio numero di matricola quando mi fecero prigioniero era 132000; mi deportarono in una farm di Glasgow, ero prigioniero ma sono stato trattato bene e i padroni dopo la guerra mi richiamarono per lavorare per loro da uomo libero». Roberto ha guidato la sua 500 fino a poco tempo fa. Poi, raggiunto il secolo, non gli è stata rinnovata la patente e ancora non ci può credere. «Ricordo la storia di Giorgio Michetti — continua Giuseppe Della Maria — pittore viareggino, che a 102 anni dà lezioni di disegno su Youtube. Conobbe Pablo Picasso in Costa Azzurra, gli parlò in francese, lo chiamò “maestro” e gli disse che anche lui faceva il pittore. Picasso lo guardò e rispose “Me ne frego” e allora lui, per niente ferito, girò i tacchi gridando “è reciproco”». Della Maria ricorda anche la storia di Caterina Bruschetini, versiliese, trasferitasi a Firenze nel ’52: «Cuciva cappelli e ricamava, in particolare il punto gigliuccio; sposò un macellaio e nel ’66 durante l’alluvione trascorse giorni in isolamento, aspettando il cibo dai militari dell’esercito». «La più anziana dei miei centenari — continua — è Alberta; la intervistai a 110 anni, una donna di una lucidità spaventosa, arrabbiata con i figli ottantenni che l’avevano trasferita in una casa di riposo, perché, vista l’età, non riuscivano più ad occuparsi di lei. Si è spenta qualche mese fa». «Ho notato che ricordano tutto del loro passato e glissano sul presente; qualcuno mi ha recitato poesie imparate alle elementari, 95 anni orsono; un altro ha decantato i versi della Divina Commedia per quindici minuti di fila». «Antonio di Grosseto — continua — fece la campagna di Russia e rientrò con le gambe congelate; ancora oggi, di notte, quando tutto è silenzio, lui sente le voci di quei compagni feriti lasciati al fronte; lo chiamano e gli chiedono aiuto, supplicandolo di non abbandonarli». «Poi c’è Gianni Guaita, scrittore pisano. Lui racconta di aver incontrato Benedetto Croce e oggi ha un profilo Facebook aggiornatissimo. È lui che mi ha insegnato l’espressione “carbone bianco”; il padre era un costruttore di centrali idroelettriche, trasferitosi da Torino a Firenze con la famiglia: così chiamavano l’elettricità ricavata sfruttando la corrente dell’Arno. Ma se dovessi concludere con una frase che mi ha colpito in questo mio viaggio nel tempo — dice Giuseppe Della Maria — lo farei con le parole di Innocente Tozzi, il gemello pontremolese; lui mi disse durante la nostra chiacchierata che amava le motociclette: “E sai che mi piaceva fare? Le cambiavo spesso, per non farle diventare troppo vecchie e ne compravo di nuove. E oggi sono io ad essere tanto vecchio e forse è l’ora che qualcuno lassù mi rottami».
Le parole di Innocente Amavo le motociclette e per non farle diventare vecchie le cambiavo Oggi sono io a essere tanto vecchio, è l’ora che qualcuno lassù mi rottami