UN COSTO, PER TUTTI
AFirenze la spesa pro capite per il gioco d’azzardo supera i 1.600 euro l’anno. Una cifra più alta del dato nazionale, 96 miliardi di euro bruciati nel 2016 per una spesa di 1.500 euro l’anno a persona. L’Italia ha il triste primato della diffusione delle slot machine: una ogni 143 abitanti. E rispetto al 1998 ha visto crescere i giocatori d’azzardo da uno a 668. Su «7» ieri Stefania Chiale narrava come le ludopatie conducano sempre più persone a giocarsi la vita, con un milione e 700 mila italiani a rischio di ammalarsi di questo cancro psicologico che colpisce soprattutto i più poveri, gli emarginati, gli stranieri e i giovani. La solitudine patologica del giocatore d’azzardo è un altro aspetto della scarsa integrazione degli immigrati e della crisi giovanile. La gravità del fenomeno chiederebbe interventi di ben altra incisività. Invece ieri il Senato ha approvato il divieto di vendita online delle sigarette elettroniche, mentre sul gioco d’azzardo online — ben più dannoso e pubblicizzato anche in tv — non sono previsti interventi.
Sul fronte dei Comuni qualcosa si muove. Ieri la giunta fiorentina ha approvato, su proposta dell’assessore Cecilia Del Re, lo stop all’apertura di nuove sale slot, e all’aggiunta di nuove macchinette, nel raggio di 500 metri da scuole, impianti sportivi, bancomat, parchi e altri «luoghi sensibili». E ha stabilito che, decorsi 24 mesi dall’entrata in vigore del regolamento, verranno sancite penalità nell’assegnazione di contributi e di canoni agevolati agli esercenti delle sale da gioco. Stupisce però che sui limiti agli orari di apertura il regolamento indichi, in base all’intesa tra Stato, Regione e enti locali, fasce di interruzione quotidiana del gioco fino a 6 ore complessive: 6 ore su 24, una vera beffa. Un’ordinanza comunale ben più rigida fu bloccata dal Tar per «carenza di studi scientifici sulla ludopatia». Ma gli studi ci sono da tempo, e documentano una vera emergenza sociale: i cittadini si vedono sottrarre dal gioco somme pari alle spese annuali per l’istruzione, lo Stato investe in cure più di quel che guadagna dalle entrate erariali.