Pisa, il caso dei pusher-terroristi
Qui ai domiciliari per droga, i due tunisini a Torino sono accusati di essere affiliati all’Isis
Sono stati fermati a Pisa (e ora sono agli arresti domiciliari) perché gestivano lo spaccio in piazza delle Vettovaglie, in centro. Ma per i magistrati anti terrorismo di Torino i due tunisini sono pericolosi terroristi legati all’Isis e per questo ne hanno chiesto l’arresto. Le prove nelle intercettazioni.
Sono ai domiciliari perché gestiscono lo spaccio in piazza delle Vettovaglie
Il 5 ottobre scorso patteggiarono una pena di 3 anni e 7 mesi per reati di droga. Eppure i nomi di tre indagati — arrestati nell’ambito di un’inchiesta condotta dal Ros del capoluogo piemontese — tornano nuovamente alla ribalta dopo che la Procura di Torino ha ottenuto per loro tre e per altri due tunisini le misure di custodia cautelare in carcere: sono accusati di terrorismo internazionale. Ma gli arresti non possono essere eseguiti per questioni di procedura.
Nel maggio scorso, infatti, il gip ha respinto la richiesta del pm. Ora però il Riesame di Torino ha accolto le richieste della Procura. La situazione però è «congelata» dato che gli indagati possono presentare ricorso in Cassazione entro dieci giorni dal deposito dell’ordinanza. Se la Cassazione lo accoglierà, i tempi sono destinati ad allungarsi.
Al momento due di loro risultano quindi agli arresti domiciliari a Pisa per reati legati allo spaccio. L’attività principale degli indagati — almeno sul filone pisano — era quella di rifornire il mercato della droga, che aveva il proprio snodo e l’epicentro in piazza delle Vettovaglie. Furono decine gli episodi contestati ai tre indagati, che alla fine del 2016 vennero arrestati dalle forze dell’ordine. Lavorando su questi nominativi era comparso anche quello di Bilel Chiahoui, tunisino di 27 anni, domiciliato in una casa in via Livornese a Pisa. I carabinieri del Ros lo bloccarono quando scrisse su Facebook che voleva farsi martire a Pisa. Fu fermato nel Cascinese, in una zona conosciuta per lo spaccio. E fu espulso dall’Italia.
Due di loro erano arrivati da Torino, dove si erano iscritti all’università. Tutti i tunisini erano arrivati nella città della Mole nel 2014 e avevano ottenuto permessi di soggiorno per motivi di studio: per gli inquirenti avevano falsamente dichiarato di essere iscritti all’università e di aver superato alcuni esami. Solo successivamente si erano spostati a Pisa, dove avevano «creato» una centrale dello spaccio: proprio su questa ipotesi tre di loro hanno patteggiato.
Il Riesame di Torino, però, evidenzia adesso «la manifesta ed espressa adesione alla ideologia della jihad estremista e violenta» degli indagati, oltre la loro «diretta partecipazione a comizi con militanti combattenti, l’assistenza legale ed economica a sodali arrestati, il sostegno e l’adesione alla partenza per le zone di guerra da parte di alcuni, l’omaggio rituale ai martiri in seguito al loro decesso». Questi elementi indicano per il Riesame che c’è stata «una mera adesione psicologica alla ideologia jihadista», ma anche la «creazione di una cellula estremistica islamica, di cui alcuni sodali sono partiti per le zone di guerra in Siria per combattere nelle fila dell’Isis, mentre uno era pronto a compiere un’azione terroristica sul territorio».
Quando i carabinieri del Ros hanno «aperto» i cellulari di alcuni indagati hanno scoperto qualcosa di interessante. «Nel telefonino nella disponibilità di Afli» c’erano « alcune foto raffiguranti un uomo riverso a terra, con tutta probabilità deceduto, con a fianco un uomo in divisa militare e fucile a tracolla; due uomini di etnia verosimilmente maghrebina a bordo di uno scooter che si affiancavano ad una pattuglia della polizia francese e puntavano una pistola in direzione degli agenti; la schermata di un telegiornale con sullo sfondo dei militanti della formazione terroristica già denominata Al Nusra». In questa inchiesta di Torino ci sono altri due sospettati che per il momento sono rimasti esclusi, anche se ci sono altri due indagati che però i carabinieri del Ros non sono riusciti a rintracciare: sarebbero morti combattendo o sotto i bombardamenti alleati sul fronte siro-irakeno.
Il Riesame di Torino non ha dubbi: «Le intercettazioni ambientali e telematiche dimostrano come il principale fattore di unione che cementa i rapporti tra di loro sia la condivisione di un forte credo religioso, portato all’estremo dei valori della militanza armata della jihad, nel momento in cui gli indagati fanno trasparire la loro intensa partecipazione ad ogni avvenimento che riguardi l’attuazione di piani terroristici o combattimenti in Siria, esaltando al contempo la forza omicida della milizia dell’Isis e l’odio verso i Paesi Occidentali». Il Riesame paventa anche la possibilità di «un reciproco indottrinamento».
Accusa