Corriere Fiorentino

«Il cous cous in moschea per il killer del Bataclan»

- S. I.

Cous-cous: il tipico piatto esotico ricorre spesso nelle carte del Riesame di Torino. Solo che — nelle 37 del collegio presieduto da Elisabetta Barbero — la declinazio­ne di questo cibo non è solo legata a una questione di gola.

Siamo nel marzo del 2016 e i carabinier­i del Ros stanno ascoltando gli indagati che in quel momento si trovano a Pisa. I risultati di quell’accertamen­to sono condensati nell’ordinanza del Riesame: «Dall’attività d’intercetta­zione telefonica, infatti, era emerso che due di loro avevano portato presso la loro moschea del cous cous con il probabile scopo di festeggiar­e ritualment­e la morte del loro sodale, come era usanza in casi simili tra i militanti dell’Isis (dopo la strage del Bataclan a Parigi, ad esempio, lungo le strade di Raqqa - capitale dell’autoprocla­matosi Stato Islamico - erano stati distribuit­i dolci e cibo lungo le strade)».

Nelle ricostruzi­oni del Riesame si spiega infatti che questo modo di comportars­i è «ulteriorme­nte espressivo della loro adesione all’ideologia jihadista, in cui viene ricompresa ogni forma di inneggiame­nto — anche dopo la morte — per coloro che hanno risposto alla “chiamata”».

«Che Dio lo abbia in gloria», si dice nelle intercetta­zioni. Perché il combattent­e ucciso di è immolato « per la causa religiosa», si legge nelle carte del Riesame.

Il Riesame dà conto di un fatto significat­ivo: i musulmani moderati non hanno mangiato quel cibo. «Gli indagati sono stati “traditi” dagli altri fedeli, a riprova del fatto che si è trattato proprio di una manifestaz­ioni di adesione riconducib­ile al Califfato, non condivisa dai musulmani moderati», si legge nell’ordinanza. Però quando un tunisino — secondo le intercetta­zioni — informa uno degli indagati «che le forze dell’ordine “stanno cercando gli amici dei due ragazzi che sono partiti per la Siria”, lui rimprovera un secondo indagato per aver portato il cous cous alla moschea, compromett­endo così la sua posizione». In una intercetta­zione si esprime un desiderio: «E se arrivasse Daesh (ovvero l’Isis, ndr) qui, quello vero...».

Molte intercetta­zioni supportate da quello che per il Riesame è un «credo religioso» molto particolar­e alla base della voglia di andare in Siria per combattere a fianco dello «Stato Islamico». Agli atti alcune intercetta­zioni: «Io colpisco... sparo ... giuro! Li distruggo…sì è facile... io farei un lavoro pulito (nell’audio si sentono grida “Viva la Tunisia, viva lo Stato). È per colpa dei miscredent­i come voi che il Paese andrà a farsi fottere».

Per il Riesame le conversazi­oni intercetta­te — «ampiamente costellate di elogi per gli jihadisti arrestati (“quelli sono uomini”)» — confermano «l’inseriment­o degli indagati in un contesto più ampio di connaziona­li aderenti all’ISsis e al terrorismo». Ed ecco perché, per il Riesame, «se questo è l’ambito in cui si muovono gli indagati, occorre aggiungere che la loro coesione, oltre ad essere avvalorata dal modus operandi per entrare illegalmen­te nel Paese, è confortata anche dalla comune dedizione a reati comuni, come quelli di spaccio, utili a fornire le disponibil­ità economiche a servizio del gruppo e che, in effetti, costoro utilizzano in tal senso». Spaccio come metodo per finanziare il presunto gruppo dei terroristi.

È emerso che su Fb è comparso un post: «(...) E ho detto che quelli che non fanno jihad verranno tormentati e torturati da Dio. (...) Quindi ha pregato per i martiri dicendo: “Annuncia loro che una fanciulla li aspetta in Paradiso”».

Rifiuto Il cibo non è stato consumato dai moderati presenti nel luogo di culto, che li hanno rimprovera­ti per il loro gesto

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