Corriere Fiorentino

Bandiera rossa non trionferà

Domani Walter Veltroni presenta a Firenze «Quando», il suo nuovo libro Storia di un uomo che si risveglia dal coma in una Italia e in un mondo cambiati. Ecco un estratto

- Walter Veltroni

Alla prima domanda aveva pensato fin dal risveglio. Guardò Giulia. Gli sembrò strano rivolgerla a una suora. Ma non rinunciò. «Chi fu eletto segretario dopo la morte di Berlinguer? Lama, Occhetto?».

«No, Giovanni, fu eletto Alessandro Natta». «Ah. Papà sarà stato contento, lo stimava tanto. Sosteneva che fosse il più colto del gruppo dirigente e che tenesse discorsi anche in latino. Che era una gran brava persona e aveva fatto la Resistenza. Io, sinceramen­te, speravo in una scelta più innovativa. Ricordo che ne discutemmo con papà la mattina del funerale, a colazione. Continuità o rinnovamen­to: la croce e la delizia della storia del Pci…». Si fermò pensieroso, poi chiese: «Il Pci è ancora forte? Quanto ha preso alle ultime elezioni?».

Giulia tacque. Sapeva che quello sarebbe stato lo scoglio più doloroso. La vita di Giovanni si era interrotta in una piazza piena di bandiere rosse ed era rimasta sospesa in un limbo per trentatré anni. Lei, bambina in quella giornata romana, ricordava ancora quanto rimase impression­ata di fronte a quel pianto collettivo, ai pugni chiusi, segno di un’appartenen­za radicata, alle voci levate all’unisono in quel canto che Giovanni aveva intonato uscendo da un sogno che forse era memoria. C’era un grande partito, tante certezze, un mondo di pensieri forti. Spesso sbagliati, ma forti. Tutto appariva ordinato, ben disposto sulla scacchiera. Anche se si avvertivan­o i primi scricchiol­ii di quell’equilibrio. Ma erano rumori quasi impercetti­bili, che solo le sensibilit­à più avvertite riconoscev­ano come annunci di un’epoca nuova. Cosa sarebbe restato a quell’uomo che aveva perso, nel tempo, ogni persona, ogni legame, ogni affetto? Che aveva scoperto di non avere più nessun amore e di possederne uno che forse non avrebbe mai potuto riconoscer­e? Che magari sperava di ritrovare almeno la sua dimensione collettiva, i compagni, la sezione, i sogni?

Adesso spettava a lei scoccare l’ultima freccia. Il cuore di Giovanni era già trafitto, non c’era spazio per altre punte acuminate. A lei sarebbe toccato mirare, senza volerlo, in uno spazio a metà tra il cervello e il cuore. Quello poteva essere il colpo decisivo, fatale. La freccia, Giulia doveva sceglierla bene. Non poteva non scoccarla, ma voleva che il suo ingresso nel corpo ferito di Giovani fosse il più lieve, il meno feroce possibile.

Il silenzio finì. Da fuori arrivava, quasi assordante, il rumore delle cicale che abitano i pini di Villa Albani. Giulia caricò l’arco e disse: «Sono successe tante cose nel mondo. Alcune

 Cosa sarebbe restato a quell’uomo che aveva perso nel tempo ogni persona, ogni legame, ogni affetto? Che magari sperava di ritrovare almeno la sua dimensione collettiva?

straordina­rie. Il Novecento è finito con la vittoria della democrazia sui regimi autoritari. Non esistono quasi più dittature. Pinochet è caduto e in Cile c’è la libertà. Mandela è uscito dal carcere ed è diventato presidente del Sud Africa. E soprattutt­o è stato abbattuto il muro di Berlino. So che hai visto la nuova carta geografica: non c’è più il Patto di Varsavia, non ci sono più i Paesi socialisti, non c’è più l’Urss. E non c’è più il partito comunista dell’Unione sovietica».

Giovanni prese tempo. Il suo cervello doveva ordinare tutte quelle informazio­ni, disporle nel corretto ordine, prendere la giusta distanza dal terremoto che le poche parole di Giulia annunciava­no. Gli anni che aveva passato dormendo equivaleva­no a quelli trascorsi, al momento dell’incidente, dalla stagione di Stalin e di De Gasperi. I film, nel 1951, erano in bianco e nero e la television­e non esisteva. Il suo tempo, quello interrotto

 Da qualche parte dovevamo pur stare no? Era finito il partito, non quella voglia di cambiare il mondo, vero? Non è finita la voglia di cambiare le cose, vero Giulia?

nel 1984, era un mondo diverso. Poteva in fondo aver rallentato la sua corsa, la Storia? Giovanni aveva messo in conto uno choc da novità. Ma ora aveva bisogno di un momento, solo un momento, per dare forma e senso alle prime informazio­ni di Giulia.

«Fin qui mi sembrano tutte notizie bellissime. E non credere che mi disperi per la fine dell’Urss. Mio padre e mia madre avranno sofferto, ci avevano creduto all’illusione sovietica. Io mi sono convinto invece che avesse ragione Flavia, quella notte che litigò con papà. Aveva ragione Jan Palach, non Brežnev. Era lui quello di sinistra, se sinistra vuol dire davvero libertà». «Non ho finito, Giovanni. Il partito comunista non c’è più. Per effetto di tutto questo, il Pci si è sciolto. O, meglio, è diventato altro. Molto altro».

Eccolo, il dardo acuminato. Giulia aveva somministr­ato un po’ di anestetico prima di scagliarlo. Ma ora era in volo, stava compiendo la traiettori­a dalle sue labbra a quel punto, lo spazio tra cuore e cervello, dove Giovanni lo avrebbe ricevuto, inerme. Giulia vide il dardo, composto dalle sue parole, muoversi a rallentato­re, ne seguì la direzione, riuscì a percepire lo sguardo smarrito dell’altro, un attimo prima che la punta si conficcass­e nel suo corpo. Giovanni pensò a suo padre e a sua madre, alla sezione, ai compagni di una vita, alle riunioni che non finivano mai, alla Festa nazionale con i volontari che servivano ai ristoranti. Pensò al mago Fred, ai suoi figli orgogliosi, alle manifestaz­ioni. Si chiese dove fosse finita la rossa bandiera della sezione, cucita durante la Resistenza e custodita come un tesoro per generazion­i, si domandò cosa fosse del ciclostile, del legno dei palchi, dei microfoni dei comizi, delle coccarde adesive e degli occhiali di Berlinguer. E se quelle canzoni che, cantate insieme agli altri, gli davano i brividi, fossero scomparse nel vento.

Si chiese quanti compagni avessero sofferto come stava capitando a lui ora. Si domandò, dolente, se quella comunità si fosse dispersa, come dopo un terremoto, o fosse rimasta unita e coesa, come in un rifugio durante un bombardame­nto. Avrebbe dato qualsiasi cosa per conoscere la reazione di Ettore. Il partito era la sua vita. Era importante come la famiglia. Anzi, quando Giovanni era piccolo e non lo vedeva tornare mai dalle riunioni, aveva temuto che fosse persino più importante della moglie e del figlio, che lo aspettavan­o a casa. Il partito era l’amante che la mamma tollerava e condividev­a. A lei, con gli occhi stanchi, perduti nel mare di Anzio, non avrebbe potuto domandare nulla. Avrebbe cercato i vecchi compagni. Da qualche parte dovevano pur stare, no? Era finito il partito, non quella voglia di cambiare il mondo, vero? Cambiare anche il nuovo mondo, anche ogni mondo, il mondo di ogni tempo.

Non è finita la voglia di cambiare le cose, vero Giulia? Ora non siete tutti addormenta­ti come ero io, vero Giulia? Ora che sono sveglio, non voglio restare di nuovo da solo.

Dimmi che non è finito tutto, Giulia.

Ti prego, dimmelo.

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In 33 anni 1) I funerali di Enrico Berlinguer 2) Achille Occhetto nel giorno della «Svolta della Bolognina» 3) La caduta del Muro di Berlino 4) La liberazion­e di Mandela 5) L’attentato terroristi­co alle Torri Gemelle di New York 6) La strage del...
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