Siena, minacce al prefetto: due proiettili in una busta
La busta intercettata al centro di smistamento postale. Venti giorni fa era accaduto al pm Natalini
Una busta anonima con due cartucce di pistola e un testo di minacce: è stata intercettata dal centro di smistamento delle poste ma era indirizzata al prefetto di Siena, Armando Gradone. Il 7 novembre era accaduto un episodio analogo: a Sesto Fiorentino le Poste avevano bloccato un’altra lettera anonima con proiettile indirizzata al magistrato senese, Aldo Natalini.
Un’altra lettera, un’altra minaccia, ancora proiettili: due, questa volta, indirizzati al prefetto di Siena, Armando Gradone. A meno di venti giorni dalla prima minaccia piombata sullo scenario senese — una busta con un proiettile inesploso e un messaggio «diretto e personale», indirizzata al magistrato Aldo Natalini, ma intercettata il 7 novembre al centro di smistamento postale di Sesto Fiorentino — arriva un’altra busta anonima. Stavolta a intercettarla è stato l’ufficio di smistamento postale di Siena venerdì pomeriggio, ma la notizia si è diffusa soltanto ieri: la missiva era, appunto, indirizzata al prefetto Gradone e conteneva due cartucce da pistola e un foglio dattiloscritto. Il messaggio riporterebbe la «profezia di Ezechiele» che parla di vendetta, citata anche nel film Pulp Fiction. Le indagini sono affidate alla Digos, sotto la direzione della Procura della Repubblica di Siena. La busta, i proiettili e il messaggio sono stati sequestrati e saranno trasmessi ai laboratori del servizio centrale della polizia scientifica a Roma, per le analisi tecniche e tutte le comparazioni utili ad individuare l’autore. Già prefetto di Siracusa, Gradone è arrivato a Siena solo nel febbraio scorso. Era stato proprio lui, due settimane fa, a volere «immediata applicazione di un’adeguata misura di protezione in favore del dottor Natalini» dopo che il pm aveva ricevuta la minaccia anonima. «Non abbiamo motivo di escludere che possano esserci reali motivi di rischi» per il magistrato, aveva detto il prefetto. Gradone è stato avvisato della minaccia a lui indirizzata ieri ma, dice, al momento è impossibile fare ipotesi sullo scenario o il contesto in cui è maturata. In ogni caso, afferma, «non nutro alcun motivo di preoccupazione».
L’uomo è stato bloccato nel corso di un blitz congiunto tra polizia e carabinieri mentre si trovava in un centro estetico di Venturina, così da essere sicuri che fosse disarmato. «Non riusciva a capire la gravità del gesto compiuto», spiegano gli inquirenti che hanno ascoltato la sua confessione, ritenendola sincera per quanto incredibile. Il movente infatti sarebbe un telefonino dal valore di circa 600 euro che lunedì mattina Longo aveva notato in casa di Fathel, benché fosse di sua proprietà. Tra i due, che si conoscevano da tempo, è nata una furiosa lite senza però ripercussioni immediate. Il 33enne è tornato nell’appartamento del tunisino soltanto la sera, convinto di riprendersi il telefono o di riscuoterne il valore, armato di una Beretta 7.65 con un silenziatore artigianale. Stando alla sua ricostruzione, ritenuta attendibile in quanto ha fornito dettagli che solo l’assassino poteva conoscere, Longo ha sparato tre colpi contro Fathel: due al petto e il terzo alla testa. Poi ha legato il tunisino al letto (senza saperne spiegare il motivo), ha messo due monete da 20 centesimi sugli occhi per fuorviare le indagini e ha dato fuoco all’appartamento subito dopo aver recuperato il telefono, sperando così di far perdere le sue tracce. Ma le chiacchierate con gli amici hanno mandato in fumo il suo piano. Le indagini, come confermato dal procuratore Ettore Squillace Greco, proseguono fare luce sulla vicenda.