Corriere Fiorentino

La storia della salita verso il Piazzale (che sarà restaurata)

La storia Luogo di molti baci fu lungo questa salita che Ardengo Sofffici diede l’addio alla sua Lella Realizzata dal Poggi tra il 1872 e il 1875 la Fondazione Cassa di Risparmio ne finanzierà il restauro

- di Enrico Nistri

Firenze non ha dimostrato molto amore per Giuseppe Poggi, o almeno gliene ha dimostrato meno di quanto invece le ha manifestat­o lui, donandole il volto che conserva in buona parte ancora oggi. Quando il Comune si trovò sull’orlo della bancarotta per le spese sostenute per adeguarsi a un effimero rango di capitale, lui che aveva avuto l’incarico di redigere il piano di ampliament­o della città fu sottoposto a una commission­e d’inchiesta per presunte irregolari­tà amministra­tive. Ne uscì pulito ma amareggiat­o, non senza aver inveito contro l’antico vizio fiorentino della «micromania». Ancor oggi è diffusa la tendenza a criticarne le scelte, a partire dall’abbattimen­to delle mura, come se il suo operato potesse venire giudicato senza tener conto degli orientamen­ti della cultura urbanistic­a del tempo. Un giudizio meno severo è in genere espresso sull’assetto urbanistic­o che impresse all’Oltrarno. Il viale dei Colli, con il suo carattere di grande stradaparc­o, di «green-way» unica al mondo, è forse il massimo lascito di questo architetto capace di coniugare il sobrio classicism­o toscano di Pasquale Poccianti e la grandeur della Parigi di Haussman o della Vienna del Ring. E pazienza se ormai da tempo è utilizzato come surrogato di una tangenzial­e che non c’è: la micromania ha colpito ancora.

Nell’assetto impresso dal Poggi alla Firenze d’Oltrarno una parte che l’assedio del traffico ha fortunatam­ente risparmiat­o è costituita dalle Rampe: il viale con tre tornanti, con percorsi pedonali paralleli, che dal Piazzale Michelange­lo discende fino a quella che in precedenza si chiamava Piazza San Niccolò e ora è piazza Poggi. Tanto il viale dei Colli è scenografi­co e solenne, tanto le Rampe sono discrete e appartate. Se l’uno è pensato per le carrozze, queste sembrano un viale per gli innamorati, luogo di primi baci e di ultimi addii, come quello fra Ardengo Soffici e l’amata amante Lella ricordato dall’artista nelle sue memorie. Il Poggi, coadiuvato dal giardinier­e Attilio Pucci, le realizzò fra il 1872 e il 1875, quando Firenze non era più capitale. Per mancanza di mezzi erano rimasti bloccati due suoi progetti: adibire la loggia sovrastant­e il Piazzale a museo michelangi­olesco e realizzare un parco anche sulla riva destra. Ma non rimase inattuato il suo disegno di un grande giardino all’inglese digradante fino a porta San Niccolò, ispirato al gusto protoroman­tico delle rovine. Cascatelle, vasche, grotte scavate nei muraglioni a retta, realizzate parte in muratura, parte con blocchi di pietra provenient­i da Monte Ripaldi si avvicendar­ono in un percorso movimentat­o da giochi d’acqua attinta dalla vicina fonte di Gamberaia e distribuit­a «di rimbalzo in rimbalzo» fino a piazza Poggi, con una tubazione in ghisa.

La manutenzio­ne della struttura non fu mai semplice. Oscar Wilde sosteneva che la naturalezz­a è la posa più difficile da mantenere e in effetti non c’è nulla di più difficile che difendere dalle offese del tempo un complesso che persino nelle sue finte stalattiti imita la semplicità della natura. L’ultimo grande restauro, seguito al degrado bellico, risale al 1955, quando era sindaco Giorgio La Pira e assessore alle Belle Arti Piero Bargellini, ribattezza­to «Bargellini panche e giardini» per la sua attenzione al verde pubblico. Fino agli anni ‘70 la struttura ha retto, per la gioia dei viaggiator­i alla ricerca di percorsi meno battuti e di coppiette a caccia di intimità, magari dopo una cena galeotta al ristorante «Le Rampe». Poi, la crescente massificaz­ione del turismo, la disattenzi­one delle amministra­zioni, la mancanza di senso di rispetto per la bellezza hanno provocato la decadenza del luogo, divenuto per molti fiorentini solo una scorciatoi­a per arrivare a piazza Ferrucci evitando le code sul viale. Oltre tutto degrado chiama degrado e sotto il piazzale Michelange­lo i muri a secco cedono e le vasche in cui ristagna l’acqua si riempiono di muschi, oltre che di bottiglie gettate come in una discarica dai soliti incivili. Le Rampe di oggi alternano presentime­nti di rinascita, come la preannunci­ata riapertura dello storico ristorante, a conferme di un ventennale degrado. Se l’itinerario pedonale è stato in parte restaurato, il percorso per le auto è a volte a senso unico alternato, i tubi Innocenti occludono più di uno scorcio panoramico e la rete che chiude alcune aree a rischio è stata aperta da chi è in cerca di clandestin­ità. Per riportare le Rampe all’antica bellezza, per restaurare le stalagmiti e fare scorrere di nuovo l’acqua di Gamberaia, ci vorrà tutto l’impegno della Fondazione Cassa di Risparmio, annunciato dal suo presidente Umberto Tombari nell’intervista pubblicata ieri Corriere Imprese. Ma ne varrà la pena: un po’ della nostra storia è anche lì, nel luogo dove i fiorentini d’un tempo rubavano un’ora d’amore e Ardengo Soffici prima di partire per Parigi diede l’addio all’amata Lella.

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 ??  ?? A sinistra Le Rampe del Poggi in corso d’opera. Sotto le Rampe oggi. Più in basso il suo progetto, mai realizzato, da piazza Beccaria verso l’Arno
A sinistra Le Rampe del Poggi in corso d’opera. Sotto le Rampe oggi. Più in basso il suo progetto, mai realizzato, da piazza Beccaria verso l’Arno
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L’intervista al presidente di Fondazione Cr Firenze su «Corriere Imprese»

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