Corriere Fiorentino

E in Regione scontro tra Lega e Pd per un poster con il volto del Che

La foto dell’ufficio di Scaramelli sul web. E lui: «Simbolo di riscatto»

- Giulio Gori

Poster, magliette, tatuaggi, misteri, politici in deshabillé. Lo «spettro» di Che Guevara incombe sul Consiglio regionale, in una guerra che parte dai social, prosegue tra i corridoi di Palazzo Panciatich­i, per finire fin dentro l’aula del governo della Toscana, tra accuse politiche che assumono via via i contorni della commedia.

Quasi fosse «L’importanza di chiamarsi Ernesto» di Oscar Wilde. A far partire la bagarre, lunedì, è il consiglier­e leghista Jacopo Alberti che pubblica su Facebook una foto dell’ufficio del collega del Pd Stefano Scaramelli con il poster di Che Guevara appeso al muro: «Questo poster nell’ufficio di un consiglier­e regionale del Pd va bene?», scrive Alberti. Scaramelli a un giorno di distanza non la prende bene: un po’ perché implicitam­ente l’immagine del «Che» viene messa in parallelo con quella della bandiera del Reich alla caserma Baldissera dei carabinier­i, un po’ per il tono — durissimo e grave — dei commenti degli utenti «da cui Alberti non prende le distanze». «È assurdo mettere sullo stesso piano l’apologia di fascismo, che è un reato, con la libertà di espression­e — dice Scaramelli che convoca una conferenza stampa nel suo ufficio — e sotto il mio poster c’è scritto: “Non sono un liberatore, i liberatori non esistono. Sono solo i poglierlo, poli che si liberano da sé”. Non è solo una frase che rispecchia i valori della Costituzio­ne, ma a ben vedere anche quelli fondativi della Lega Nord».

«Io sono un fiero cattocomun­ista — aggiunge —quel poster l’ho comprato quando avevo 15 anni e ero nei giovani Ds. Possono chiedermi di toma non possono farmi togliere il tatuaggio che ho sulla spalla». E invia urbi et orbi un comunicato stampa, con la sua foto a torso nudo nel bagnasciug­a e in balla mostra il tatuaggio «che mi sono regalato per i miei 40 anni».

Intanto, alla buvette del Consiglio, arriva il blitz di altri due consiglier­i Pd, Monia Monni e Francesco Gazzetti, che si mettono due magliette con la faccia di Che Guevara, sorprendon­o Alberti e si fanno una foto con lui per poi lanciarla sui social. La vicenda, nel pomeriggio, finisce in aula. Scaramelli inneggia al Che: «È il simbolo di chi si fa carico delle sofferenze, io me ne faccio carico», dice, per poi denunciare la possibile violazione della sua stanza, «atto gravissimo». Alberti ribatte stizzito: «Il tuo ufficio ha sempre la porta aperta, la foto è stata scattata dal corridoio. E pensala come ti pare, ma Che Guevara non è certamente simbolo di libertà e democrazia». Per Scaramelli, tuttavia, qualcuno nella sua stanza ci deve essere per forza entrato, «anche solo per accendere la luce e consentire di fare la foto». E punta l’indice sulla Lega: «Sulla porta di uno dei loro uffici c’è un cartello grave: “Divieto d’accesso ai non autorizzat­i. Ai trasgresso­ri verrà sparato”. Se io fossi entrato in quella stanza mi avrebbero sparato».

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Da sinistra: il blitz di Monni e Gazzetti ad Alberti, il cartello sulla porta della Lega, Stefano Scaramelli ed il suo tatuaggio
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