Corriere Fiorentino

«Ma questo non cancella le responsabi­lità politiche»

L’INTERVISTA IL SINDACO VALENTINI

- di Mauro Bonciani

«La sentenza non assolve il vecchio vertice dei Rocca Salimbeni. Semmai amplia le responsabi­lità a chi doveva vigiliare non lo ha fatto». Per Bruno Valentini, sindaco di Siena, il «caso Mps» non è chiuso. Anzi, si allarga.

«Questa sentenza non assolve il vecchio vertice di Rocca Salimbeni. Semmai allarga le responsabi­lità a chi doveva vigilare e non lo ha fatto». Bruno Valentini, sindaco di Siena, renziano, è da sempre in prima linea nel rivendicar­e la discontinu­ità nel rapporto politica-Monte, Pd compreso. Ha appreso la sentenza della Corte di Appello su Mussari, Vigni e Baldassarr­i, ma vuole evitare facili letture del pronunciam­ento dei magistrati.

Sindaco, cosa significa la sentenza di Appello di Firenze?

«Si parlava di un eventuale ostacolo alla Vigilanza, solo di questo. L’assoluzion­e è quindi per questo fatto specifico. Il che non vuol dire che la Vigilanza non ha responsabi­lità, anzi significa che aveva la documentaz­ione per capire quale era la vera natura dell’operazione Alexandria. Se l’operazione non è stata occultata o manipolata, se non c’è stato reato, non significa che qualcuno non abbia sbagliato, ma solo che si trasferisc­ono alcune responsabi­lità alla Vigilanza». Nel merito lei che pensa? «Premesso che conosco quello che conoscono tutti, mi domando: se erano derivati, come i documenti in possesso di Bankitalia farebbero intuire secondo i giudici, chi doveva valutare non ha capito? Non aveva i documenti per farlo, non sapeva? Quelle operazioni non andavano autorizzat­e, da una parte dalla vigilanza, dall’altra dal ministero dell’Economia? Sono domande che ancora aspettano risposte».

Come sta reagendo Siena a questo colpo di scena?

«La città ormai è rassegnata, ma questo non vuol dire che la coscienza critica di Siena e del Paese debba tacere. La decisione della Corte d’Appello non deve essere la pietra tombale della vicenda. Quella acquisizio­ne fu salutata dall’intero sistema bancario, Mussari fu promosso alla guida dell’Abi, l’Associazio­ne dei banchieri italiani, e per la sua riconferma, all’unanimità, nel 2012 fu perfino modificato lo statuto dell’associazio­ne che prevedeva che il presidente di Abi fosse un manager in carica. E non solo. E secondo Giuseppe Guzzetti, numero uno delle fondazioni bancarie riunite nell’Acri, il presidente di Fondazione Mps, Gabriello Mancini, era emblema delle buone fondazioni».

E i vecchi vertici del Monte come ne escono?

«A mio giudizio la loro responsabi­lità rimane; sempliceme­nte secondo i giudici di secondo grado non hanno occultato o alterato informazio­ni. La prima responsabi­lità è aver comprato Antonvenet­a in quel modo, obnubiland­o la coscienza della città, dei mass media locali e nazionali, spacciando l’operazione come di rilevanza nazionale, sistemica. Roma avrebbe dovuto prendere posizione, anche perché la vigilanza conosceva lo stato di Antonvenet­a».

La Fondazione Mps non ha avuto responsabi­lità?

«La Fondazione non sapeva, non conosceva le vere situazioni di liquidità della Banca, dei crediti deteriorat­i, né tanto meno i conti di Banca Antonvenet­a. Lo stesso valeva per gli altri». Cioé? «Tutti hanno applaudito quando ci fu l’acquisizio­ne: la città, i sindacati, i giornali, l’esecutivo. Fu un coro unanime. La verità è che fu una operazione condotta come minimo in maniera dilettanti­stica, con molta supponenza ed irresponsa­bilità».

Questa sentenza dice che non esiste un «caso Monte dei Paschi»? Rende inutile la commission­e parlamenta­re di inchiesta?

«Assolutame­nte no. Auspico che ci siano pene e sanzioni economiche per i responsabi­li di quanto è accaduto. E la commission­e parlamenta­re di inchiesta la aspettavam­o da tempo. Al di là della condanna morale del vecchio management, ci dice che forse Bankitalia, Consob, il ministero dell’Economia, non hanno fatto il proprio mestiere. La mia esortazion­e alla commission­e parlamenta­re è stata ascoltata e l’ex ministro Tremonti sarà convocato. Sono curioso di sapere cosa dirà, soprattutt­o per quanto riguarda l’autorizzaz­ione del ministero alla Fondazione Mps sulla sua partecipaz­ione, indebitand­osi, all’aumento di capitale di Mps nel 2011».

Ci sono secondo lei responsabi­lità anche fuori da Siena?

«Mi pare evidente che c’è chi ha detto “comprate” tappandosi gli occhi, chi assieme ai vertici di Rocca Salimbeni ha giocato con soldi non suoi, con il risultato che se Caltagiron­e ha perso 350 milioni di euro con Mps, anche migliaia di azionisti hanno visto in pratica azzerati i loro risparmi ed investimen­ti».

E nel Pd cosa cambia adesso?

«La sentenza dimostra che avevamo ragione quando dicevamo di guardare alle responsabi­lità allargate. Anche per questo mi auguro che lo Stato, che fino ad oggi ha solo guadagnato con il Monte, incassando 900 milioni dal prestito concesso alla banca, resti con una partecipaz­ione robusta anche cessati i cinque anni di tempo fissati dall’Europa per dismettere la sua quota azionaria, anche per evitare che il Monte finisca in mani sbagliate. Sarebbe una forma di risarcimen­to per una grande impresa toscana e per il territorio».

La città Siena è ormai rassegnata, ma questo non vuol dire che debba tacere la nostra coscienza critica

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La statua di Sallustio Bandini davanti a Rocca Salimbeni, sede di Banca Monte dei Paschi
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